"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

mercoledì 5 maggio 2010

COSE DI SPAGNA E D'ITALIA - SINTI E ROM IN SPAGNA E IN ITALIA - MATERIALI PER UNA COMPARAZIONE

Propongo un libretto che ho scritto nel 2008 sulla condizione delle minoranze gitane e zingare e sui loro rapporti con le popolazioni maggioritarie in Spagna e in Italia. Userò qualche volta il termine “zingaro” che è da molti considerato politicamente scorretto, per due ragioni: per simmetria con “gitano”, pure considerato da alcuni politicamente scorretto, usato però continuamente dallo stesso Juan de Dios Ramírez Heredia , che, in qualità di rappresentante delle popolazioni gitane, firmò la Costituzione spagnola del 1978, e ha successivamente ricoperto cariche politiche e ruoli significativi in istituzioni della Spagna e dell'Europa; e anche perché parlerò nelle prossime puntate di un libro utilissimo, documentato e intenso, dal titolo forse un po' provocatorio (nei confronti dei gagé, naturalmente), “Zingari”, di cui è autrice un'antropologa dell'Università di Pavia, Anna Rita Calabrò.


Questo mio scritto e parte gli articoli che seguiranno sull'argomento, sono già comparsi nell'autunno del 2008 nel blog di una casa editrice romana che poi è stato chiuso. Li ripropongo senza aggiornarli con quanto è successo negli ultimi due anni, penso che possano essere di qualche utilità così. La mia speranza è anche quella di contribuire a sfatare lo stereotipo che vorrebbe i gitani spagnoli tutti musica e flamenco, e gli zingari italiani restii all'integrazione e alla buona convivenza con la maggioranza gagé.
Riporto nei miei scritti informazioni sulla storia di queste popolazioni, in gran parte ormai formate da cittadini delle due nazioni sorelle, e le cui migrazioni hanno avuto la stessa origine e sono avvenute contemporaneamente in Spagna e in Italia (anzi in Italia arrivarono per la prima volta con qualche decennio di anticipo, me l'ha fatto notare lo stesso Juan de Dios Ramírez Heredia, in un convegno a Cadice a cui ho partecipato l'anno scorso ); su quanto è loro avvenuto nel XX secolo, durante le due dittature e poi nelle rispettive democrazie; sui rapporti con la popolazione maggioritaria - scontri, confronti, convivenza, discriminazione, conoscenza reciproca, solidarietà -; sulla scuola, sui luoghi di vita, sul lavoro, sulla “cultura”, un po' anche sul flamenco...

Segnalo comunque due siti (ma certamente se ne possono trovare molti altri) in cui si riportano episodi di discriminazione recenti, e si fanno anche proposte costruttive. Uno è  Giornalisti contro il razzismo, l'altro è Mantova ebraica - Osservatorio sulle discriminazioni


Poi il discorso che inizio con questo post continuerà nel tempo: dopo aver ripubblicato gli articoli sul bel libro di Anna Rita Calabrò, racconterò, senza alcuna pretesa di scientificità, esperienze dirette, amicizie, storie di persone gitane-spagnole- andaluse, di antica e di recente immigrazione e anche cronache politiche e sociali che abbiano per protagonisti questi cittadini.


Il libretto non è disseminato di link, in quanto in fondo si trova una bibliografia e l'indicazione di video e altro materiale di cui mi sono servita.












PAYOS E GITANOS IN SPAGNA, GAGÉ E ZINGARI IN ITALIA - 2008 - materiali per una comparazione

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INDICE

ROM, SINTI, KALE, MANOUCHES E ROMANICHALS. … GITANOS, ZINGARI … GAGÉ, PAYOS …
Le mie “fonti”
L’importanza delle parole
I nomi di queste popolazioni
La difficoltà della correttezza nel denominare questa minoranza

INCONTRI IN ITALIA E IN ANDALUSIA
Prima storia - Bergamo, anni settanta
Seconda storia – Roma, 2002
Terza storia – Conil de la Frontera, l’estate scorsa
Esempi, non prove

ROM E SINTI IN SPAGNA E IN ITALIA: ELEMENTI DI STORIA
Le prime migrazioni di gitanos in Spagna
Le migrazioni in Italia e il barò porrajmos

ROM E SINTI IN SPAGNA E IN ITALIA: I NUMERI
I numeri in Spagna e in Italia
La “favola” semiromantica della vocazione al nomadismo
I rom in Europa e in Romania

GITANOS E PAYOS IN TEMPI DI DEMOCRAZIA –1– IN ANDALUSIA E IN SPAGNA
Quindici anni di conflitti
Scontri determinati da liti e delitti individuali
Scontri determinati dall’inserimento nella scuola di base di bambini gitanos
Il rapido calo della conflittualità
Leggo oggi, 28 ottobre 2008, su El País, questo titolo:

ROMÁ E PAYOS IN TEMPI DI DEMOCRAZIA –2– L’ULTIMA MIGRAZIONE IN SPAGNA
Differenze nella percezione di questa migrazione in Spagna e in Italia
Le “ragioni” di un grande movimento migratorio e lo sguardo dall’interno dell’antropologo
I numeri
Fasi dell’immigrazione, conflitti e insediamenti
Caratteristiche di questa popolazione

ROM, SINTI E GAGÉ IN TEMPI DI DEMOCRAZIA –3– IN ITALIA
Cambiamenti faticosi in Spagna, immobilità in Italia
La Repubblica e il comunicato del Ministro dell’Interno
Gli “zingari” rubano i bambini?

GITANOS, ROMÁ E SINTI, ROM, IN SPAGNA E IN ITALIA: RIFUGI E CASE
Case e ripari provvisori per i gitanos e i romá in Spagna
Campi nomadi in Italia
Qualche situazione meno nota
Qualche alternativa ai campi nomadi in Italia

SINTI, ROM, GITANOS, ROMÁ IN SPAGNA E IN ITALIA: IL LAVORO
Le attività dei gitanos di più antico insediamento in Spagna
Le attività dei romá di recente immigrazione
Le attività dei sinti e rom in Italia

SINTI, ROM, GITANOS, ROMÁ IN SPAGNA E IN ITALIA: LA SCUOLA
La scolarizzazione dei bambini gitanos delle famiglie di più antico insediamento in Spagna
La scolarizzazione dei bambini delle famiglie romanès di recente immigrazione in Spagna
Frammenti di scolarizzazione dei bambini sinti e rom in Italia

CENNI SU CULTURE DEI SINTI E ROM IN SPAGNA E IN ITALIA
I rischi di invasioni di campo
L’associazionismo gitano, laico e religioso, in Spagna e in Italia
Matrimonio e famiglia, flamenco, disconoscimento dei sinti e rom come minoranza linguistica
Il lungo cammino degli stereotipi e una dichiarazione

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ROM, SINTI, KALE, MANOUCHES E ROMANICHALS. … GITANOS, ZINGARI … GAGÉ, PAYOS …

Le mie “fonti”

So che è difficile il raffronto che prometto, e anche arrischiato. Non sono una specialista, solo un’insegnante di lettere che è vissuta in Italia sino a due anni fa e ora abita in Andalusia. Nessuna pretesa di completezza, neppure, ovviamente, rispetto alla bibliografia cui faccio riferimento. Mi pare comunque che possa avere qualche utilità gettare sul tavolo l’idea di un confronto fra due situazioni che dovrebbero, per tante ragioni, camminare affiancate, e invece divergono. Può darsi che cominciare a vedere quel che succede in Spagna, nei rapporti fra maggioranza gagí e minoranze sinti e rom – nel bene e nel male – dia fiato e senso di realtà a molti amici e compagni che si chiedono che fare. Perciò quanto dirò va inteso come parte di un discorso in fieri, azzardato da una persona che non avrebbe titolo per farlo, ma lo tenta ugualmente: imprecisioni e anche errori saranno inevitabili in questo sforzo di approssimazione a un problema (innanzi tutto di noi gagé) di cui ci siamo occupati così poco, negli anni. Lottavamo per popolazioni del mondo povero, ma lontane lontane dalla nostra vita reale.

Per la Spagna, utilizzerò come base gli studi di Juan F. Gamella, un antropologo che insegna nell’Università di Granata, di cui ho ascoltato una relazione bellissima nel corso di un convegno sull’immigrazione che si è tenuto nel pueblo che ora è anche mio. Gamella da anni conduce queste ricerche attraverso la conoscenza diretta di famiglie gitane, valorizza il loro punto di vista, quel che dicono e pensano e al contempo offre molti dati anche numerici sul rapporto fra i gitanos (spiegherò tra poco perché scelgo di usare questo termine, lasciandolo in castigliano) e la popolazione maggioritaria.
Per la situazione dei rom e sinti in Italia, farò riferimento ad appunti che ho preso in due occasioni: nel corso di un incontro che si è tenuto nel giugno scorso nella scuola ebraica di via Sally Mayer a Milano, in seguito a violenze scatenate da gruppi di persone inferociti in diverse città e messe in atto da istituzioni; e anche in un bel seminario di tre giorni, intitolato "Mengro Velto – Il Nostro Mondo – Voci inascoltate di Rom e Sinti", organizzato dalla Fondazione Villa Emma a Nonantola all’inizio di ottobre. Mi avvarrò ampiamente anche del libro del musicista e linguista rom italiano, Alexian Santino Spinelli, Baro romano drom (Meltemi, 2008), che offre una panoramica sulla storia e la cultura del suo popolo e anche qualche spunto polemico, che sarebbe interessante discutere, nei confronti di alcune associazioni di volontariato. Naturalmente, sia in relazione alla situazione italiana sia a quella spagnola, farò riferimento anche a qualche altro libro e a documenti, molti dei quali si trovano in internet.

L’importanza delle parole

È d’obbligo iniziare con le denominazioni che si usano per designare questi gruppi umani, discendenti, viene oggi sottolineato con particolare forza dagli stessi intellettuali che ne fanno parte, da un unico popolo dell’India del nord, che pare abbia iniziato 1.000 anni fa una migrazione verso Occidente.
Le parole sono in questo caso importanti. Infatti non esistono fino a tempi recentissimi documenti scritti da membri di questi popoli che permettano di ricostruirne la storia dal loro punto di vista. Pertanto la lingua, come spiega Spinelli, che è restata fino a oggi solo o quasi soltanto orale, porta le tracce dell’origine e delle zone attraversate dalle diverse diramazioni del “popolo dei popoli” di origine indiana. Perciò nel suo libro, l’autore, nel tracciare la storia di queste genti, dà un grande spazio alla lingua e alla trasformazione delle parole, e non solo, naturalmente, di quelle che designano le popolazioni romanès, nel contatto con idiomi delle popolazioni ospitanti.
Gamella coglie anche in Spagna l’importanza di questa scoperta o riscoperta dell’origine comune nel Punjab: “Le nuove forme di partecipazione sociale stanno favorendo un cambiamento nel modo di percepire e definire l’identità etnica per molti gitanos. Una delle più vive manifestazioni di questo cambiamento si lega a un’ideologia unificatrice che anima un movimento internazionale e si fa esplicita anche in alcuni specifici nomi delle loro organizzazioni (per esempio, l’Unione Romaní). Un elemento di questa ideologia è la scoperta o la riformulazione di una comune origine indiana di tutti i gruppi romanès, che si sentono originati da una diaspora che spesso viene descritta come una migrazione predestinata e come un viaggio iniziatico ‘dietro al sole’: dal Punjab ad Algesira.” (Juan F.Gamella, Exclusión social y diferencia etnica 2004)

I nomi di queste popolazioni

Rom (sostantivo invariabile singolare, plurale roma - corrispondente aggettivo singolare romanì, plurale romanès) deriva da dom, parola che in territori persiani e arabi, nell’antichità, aveva il significato di “uomo”. In realtà, Spinelli usa come sostantivo plurale rom. Il termine dom deriva a sua volta dal sanscrito domba, che, in scritti indiani dei secoli VII-XII designava una popolazione dell’antica India, i cui membri erano musicisti, cantanti e anche cacciatori.
Gli sinti, spiega, Spinelli, sono un sottogruppo dei roma, parlano la lingua romanì nelle sue molteplici diramazioni e anch’essi derivano il loro nome da una regione indiana. In genere oggi ci si riferisce agli sinti (che non vanno contrapposti ai roma, derivano dallo stesso popolo) quando si allude a popolazioni che vivono da molto tempo in Europa settentrionale e occidentale, compresa l’Italia.
Con i nomi kalé, calo o calao (denominazioni la cui origine è controversa) vengono spesso designati coloro che vivono nella penisola iberica, in Brasile, in alcune zone dell’Oriente Prossimo e del Maghreb.
I manouches e i romanichals derivano i loro nomi rispettivamente dal sanscrito e dal romaní: i primi vivono nel Sud della Francia e in Piemonte; i secondi in Inghilterra, in Australia e nel Nord-America, dove arrivarono perché deportati dai gagé. (Spinelli, op.cit., pagg.87 e sgg.)
Le denominazioni zingari e gitanos hanno origine nel greco bizantino “athingani” (=non colpito, non offeso), ed evoca, per percorsi complicati, o una condizione sociale bassa (gli intoccabili, secondo l’induismo) oppure, al contrario, l’origine aristocratica del gruppo. Il termine si trasformò poi in “atsinganos” e “atsinkanos”, che designavano genti dedite alla magia, attività condannata come diabolica dal cattolicesimo, che intanto si era affermato e diffuso (Spinelli, op. cit., pagg. 19 e sgg.). Gitanos è stato interpretato dalle popolazioni gagé anche come “egiptanos”, provenienti dall’Egitto o comunque dalle regioni orientali.
Il sostantivo maschile singolare gagio – femminile singolare gagí, maschile plurale gagé, femminile plurale gagía – e altri termini simili che designano i popoli non romanès, in Italia e in altri luoghi, ha origine controversa; in Spagna, invece, per designare la maggioranza non rom, si usa il termine payo, che significa “contadino”, “stanziale”.

La difficoltà della correttezza nel denominare questa minoranza

Questa lunga, e tuttavia insufficiente, premessa sulle denominazioni è importante perché è assai acuta, da parte di persone del popolo romaní e sinti, la sensibilità per un uso rispettoso dei nomi con cui i gagé designano i suoi membri. Spinelli precisa che le denominazioni zingari e gitanos sono riduttive e, per l’uso che se ne è fatto da parte dei “popoli ospitanti”, irrispettose, in quanto connotate negativamente. Fu deciso, nel Primo Congresso Mondiale della Popolazione Romaní (1971) di rifiutare questo e altri termini simili per designare il popolo romaní. Ma poi compaiono in internet il titolo di una ricerca inedita dello stesso Spinelli, dal titolo Gli zingari e la musica. Storia, evoluzione, creazione, interpretazione, e quelli di altre sue opere che contengono il termine “zingaro”: è la denominazione che soprattutto in certi contesti ha una connotazione dispregiativa (o, viceversa, “romantica”), ma è anche la più conosciuta dal non specialista. È difficile per chi entri nel merito delle vicende di queste popolazioni usare correttamente le denominazioni sinti e romá: non sempre, oltre tutto, si ha la competenza di distinguere gli uni dagli altri e lo stesso Spinelli dice che una contrapposizione e differenziazione come fossero due popoli già all'origine diversi non è accettabile. Juan F. Gamella utilizza nei propri saggi la denominazione gitanos o calé per le popolazioni sinti e rom giunte in Spagna nei secoli o nei decenni passati, romá per i gruppi che sono arrivati con una migrazione recente, che dura tuttora; per la popolazione maggioritaria, usa il nome di payos.
In Andalusia, dove vivo da due anni – certo, troppo poco tempo per potermi permettere su una questione così difficile affermazioni perentorie - tra i molti payos che conosco l’uso del termine gitanos non ha alcuna connotazione negativa. Moltissimi hanno gitanos fra i loro amici più stretti: ne parlano con l’intonazione con cui alcuni italiani dicono di avere “un amico ebreo”. È poco rispettoso? Non so, grande è la confusione sotto la volta del cielo. Certo, ho conosciuto un andaluso che dice che sono tutti ladri; ma anche più d’uno che dice che gli ebrei sono tutti ricchi, intelligenti e furbi; e che gli italiani sono tutti artisti, belli e un po’ delinquenti.
Per quando ho detto, è opportuno che dichiari preliminarmente quali nomi userò nelle pagine che seguono. Per la minoranza italiana userò la denominazione sinti e rom, spesso insieme (il termine zingari, forse non per colpa del termine stesso, ma di quelli che lo usano, ha assunto davvero una connotazione negativa); per quella spagnola, visto che farò riferimento continuo agli studi del prof. Gamella, userò il nome di gitanos, lasciando la parola in castigliano, in modo che sia ancora più chiaro che si riferisce al contesto spagnolo; per gli ultimi arrivati in Spagna – la migrazione iniziata negli anni novanta e non ancora conclusa – romá. Naturalmente tutte queste denominazioni, come dice Spinelli, indicheranno diverse ondate migratorie di uno stesso popolo. Per la maggioranza italiana userò il termine gagé; per quella spagnola payos. Per la lingua che parlano i romá (ma anche altri gitanos) romaní.

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INCONTRI IN ITALIA E IN ANDALUSIA

Prima storia - Bergamo, anni settanta

Avevo allora i bambini piccoli, forse quel giorno erano all’asilo? Non saprei, ricordo solo che stavo sola in casa, quando bussarono alla porta. Aprii, c’era una ragazzina con il pancione: di 18 anni e serba, mi disse dopo, certamente “zingara”, avevo pensato io. La invitai a entrare. Mangiammo insieme. Si chiamava Zana. Mi disse che quello che aspettava era il secondo figlio: la prima, una bambina di due anni, era malata di cuore, avrebbe dovuto sottoporsi a un’operazione. Lei viveva in una baracca presso Brescia. Non mi ero mai occupata degli “zingari”, ma prima ancora – non me ne faccio un vanto particolare – di apprendere che i rom considerano in casi di particolare necessità, l’elemosina alla stregua di un lavoro – si chiama “fare il manghel” – mi pareva normale, se mi era possibile, dare una moneta alle persone che me la chiedevano.
La penso ancora così. Non sono affatto credente, ma so benissimo che le religioni monoteiste – tutte e tre anche europee – prescrivono l’aiuto caritativo come un dovere: eppure le mani stese indignavano e indignano tante persone devote e perbene (qualcuno permale che gli dà la moneta, però, per fortuna ci deve essere, chissà se sono più quelli di sinistra o quelli di destra!). Non si tratta, per me, di aiuto caritativo, ma di una sorta di micro-tassa che contribuisce all’acquisto di cibo e di altre cose necessarie a un altro essere umano. È semplicissimo, mi pare. Poi, forse, o chissà, contemporaneamente, se se ne avrà l’occasione e la possibilità e la volontà politica e la capacità ecc.ecc., si potrà parlare per/con loro di un lavoro simile a quello che intendiamo noi gagé come lavoro, dei bambini che non vanno coinvolti nel fare manghel e devono frequentare scuola, degli uomini che non devono opprimere le donne, di quel che noi intendiamo per libertà e felicità, delle condizioni da mettere in atto perché possa avvenire tutto questo. Intanto la microtassa non mi ha reso di sicuro più povera e neppure ha contribuito alla corruzione e alla rilassatezza degli animi e dei costumi altrui.
Pensavo questo – senza troppo pensarci, in verità, era una cosa ovvia - anche quando conobbi Zana. Perciò le diedi, quando se ne andò, pochi soldi (non ne ho mai avuti tanti né mi proponevo di diventare povera per causa sua). Ritornò a trovarmi diverse volte, prima e dopo la nascita del figlio, con il pancione e poi con il bambino. Una volta mi disse che la figlia era stata operata con successo. Non la portava con sé, la lasciava ad amiche nelle baracche, perché non si stancasse. Poi venne di tanto in tanto con entrambi i figli. A volte c’erano anche i miei bambini, un po’ più grandi dei suoi. Mangiavamo insieme, se si poteva, chiacchieravamo, giocavamo un po’ con i bambini, le davo qualche soldo prima che se ne andasse.
Un pomeriggio arrivò con due sue amiche e con i loro figlioletti: mi chiesero timidamente se potevano lavarli nel mio bagno. Certo che potevano. Se ne andarono tutte contente, con i piccolini profumati. L’indomani arrivò il fabbro a mettere la porta blindata alla mia dirimpettaia (allora non erano diffuse come lo sono oggi, queste difese).
Zana e le amiche ritornarono a distanza di poco tempo. Quel giorno ero molto occupata, dovevo uscire di corsa, non ricordo perché. Dissi a Zana: “Senti, oggi non posso trattenermi. Devo andare al centro e non ho neppure i soldi per l’autobus. Devo correre in banca a prenderli. Mi dispiace.” Lei e le sue amiche si vuotarono le tasche, per darmi i loro soldi.
Poi mio marito, che era allora giovane come me, si ammalò di cancro e non sarebbe guarito. Zana proprio nei giorni in cui avevamo scoperto il disastro tornò un paio di volte, sola, e mi disse che la sua baracca era andata a fuoco. Le promisi, certo in modo sbrigativo e superficiale, che avrei chiesto aiuto a persone di Lovere (un paese sul lago di Iseo), con cui avevo un’amicizia forte. Loro le cercarono un lavoro, una casa, un asilo per i bambini: con qualche parziale risultato. Ma Zana non l’ho vista più. Non è più tornata? O è tornata e non mi ha trovata mentre eravamo per ospedali, in città diverse...?

Seconda storia – Roma, 2002

Manifestazione di due milioni di persone a Roma, contro il governo Berlusconi. Ci andai anch’io, da Bergamo, con il pullman del sindacato, che si fermò in un grande posteggio della periferia, da dove prendemmo la metropolitana per Termini. Alla stazione centrale uscivano dai treni della metro i fiumi del popolo di sinistra che andava a manifestare. C’erano nel sottopassaggio due rom – una anziana e l’altra giovane - a qualche decina di metri di distanza una dall’altra, che facevano manghel. Nessuno, ma proprio nessuno della folla di compagni dava una moneta. Mi fermai per un po’ ad osservare. Nessuno. Perché? Perché gli zingari sono ladri? Perché non si risolve il problema così, bisogna invece rendere giusto e migliore il mondo? Perché l’elemosina è una cosa da gente di chiesa? Perché gli zingari mandano i bambini a chiedere l’elemosina picchiandoli? Perché sono venuti – erano sicuramente zingari – a rubare le poche cose d’oro che avevo nel cassetto del mio comò? Perché hanno rubato anche a casa di mia cognata? Perché gli zingari ricchi si prendono tutti i soldi dell’elemosina? Perché sfruttano e picchiano le loro donne? Perché gli zingari non vogliono lavorare come gli altri? Perché le zingare hanno il vizio di rubare i bambini dei non zingari?

Terza storia – Conil de la Frontera, l’estate scorsa

Il vento di levante aveva quasi scardinato la porta di ferro della mia terrazza. Mi informai per un fabbro e andai a cercarlo. La sua casa è bellissima, antica, la porta con due colonne e un’architrave di pietra, un patio grandissimo, pieno di fiori. Nell’atrio della casa un’aquila di ferro battuto, grande, con penne, piume, rostro e artigli.
Il signor fabbro, compitissimo, con un fare da gentiluomo che commuove sempre una signora non proprio giovane, mi dice che avrebbe mandato ad aggiustare la porta il figlio che fa la sua stessa professione. Aspetta che ti aspetta, passano i giorni e il giovane non viene. Vado a ricercarlo, il padre mi assicura che verrà. Dopo altri due giorni il ragazzo viene davvero. Dice che ha tardato perché in tutte quelle sere è andato a Cadice a suonare il flamenco. Il mio ossessivo senso materno mi spinge a rimproverarlo perché non si mette protezione usando la fiamma ossidrica. Inutile, testardo, cabezón: proprio come un figlio vero.

Esempi, non prove

Le storie che ho raccontato sono solo esempi, e gli esempi, nell’argomentazione, non vanno generalizzati come fossero prove. Anche per questo non vorrei che chi legge si facesse l’idea che i payos andalusi siano angeli o vivano in un paradiso. Non è affatto così, lo vedremo nei prossimi articoli.
Intanto, puoi leggere il bel libro di Pino Petruzzelli, Non chiamarmi zingaro, ed. chiarelettere, che racconta suoi incontri con sinti e rom in vari luoghi d’Europa.

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ROM E SINTI IN SPAGNA E IN ITALIA: ELEMENTI DI STORIA

Le prime migrazioni di gitanos in Spagna

I primi gitanos che giunsero in Spagna, nel XV secolo, sotto la pressione turca, sicuramente incontrarono situazioni di rifiuto da parte dei payos, ma fu dall’avvento dei Re Cattolici, alla fine del secolo, che gli attriti si trasformarono in tentativo di espulsione di coloro che non si adattavano a quel che volevano i payos, lavorando la terra dei signori e abbandonando, fra l’altro, anche il proprio modo colorato di vestirsi. Molti uomini gitanos in questo periodo furono imprigionati e costretti a remare nelle galere. Dopo l’espulsione dei moriscos, nel 1606, però, venne meno nei campi la manodopera necessaria ai proprietari terrieri, e i gitanos non vennero più cacciati, ma costretti a lavorare nella campagna dei payos.
Tra il 1633 e il 1783, i tentativi di sottomissione, assimilazione forzosa, e persino di genocidio del popolo gitano si fecero più sistematici e giunsero ad apici di crudeltà. Nel mercoledì nero del 1749 alcune decine di migliaia di gitanos furono arrestati d’improvviso in città e villaggi – ben 10.000 uccisi -, le donne furono separate dagli uomini, i bambini maggiori di sette anni dalle madri, e gettati tutti in campi o “depositi” di schiavi per lavori forzati, dove molti sarebbero morti. Presto però le autorità si accorsero che questo tentativo di eliminazione di una minoranza ancora una volta danneggiava la società dei payos: mancava manodopera per il lavoro dei campi, mancavano panettieri, fabbri, tosatori, veterinari ecc. ecc.. La maggioranza dei prigionieri fu liberata. Fu questo il primo vero tentativo di pulizia etnica dell’Europa moderna.
Nel 1856 ebbe termine la schiavitù dei rom che aveva avuto inizio all’inizio del XIV secolo nei principati rumeni, e gruppi romanès emigrarono verso occidente, in successive ondate.
La Costituzione approvata dalle Cortes di Cadice (la famosa Pepa), e poi quella repubblicana del 1931, sancirono, almeno teoricamente, l’eguaglianza giuridica di tutti i cittadini spagnoli, e quindi anche dei gitanos.
Dice Gamella, in uno degli studi citati: “È curioso che con la sparizione dei gitanos come gruppo da controllare, spariscano quasi completamente informazioni storiche su di essi. Per la prima volta saranno i viaggiatori romantici e postromantici quelli che indicheranno i gitanos come esempi di esotismo e di vita alternativa… Le informazioni sui gitanos dei secoli XIX e XX sono, per sfortuna, assai esili, nonostante sia questo un periodo cruciale della loro presenza in Spagna.”
Di fatto, però, durante il franchismo, i gitanos erano considerati come una categoria di persone pericolose, che andavano vigilate. Non ci fu comunque una vera persecuzione, ma certamente una discriminazione di fatto, da parte della popolazione dei payos. Si sa che la mortalità era molto più alta che fra i payos. Moltissimi vivevano in villaggi di capanne e baracche. Probabilmente il flamenco era suonato nelle osterie: si vedono oggi, durante gli spettacoli di flamenco, vecchietti payos entusiasti, che battono le mani, gridano felici, forse ricordando antiche soste in cantine e bar.
Fu con l’avvento della democrazia che questa minoranza ottenne, almeno a livello teorico, una piena parità di diritti, l’accesso ai servizi sociali, la possibilità di avere una casa e una scuola per i figli. Dopo il franchismo, Juan De Dios Ramírez Heredia, primo rom eletto deputato nazionale e in tempi più recenti nel Parlamento europeo, firmò in rappresentanza del suo popolo la Costituzione spagnola del 1978. Ma, come vedremo, proprio il riconoscimento di questi diritti avrebbe scatenato la reazione, a volte violenta, di gruppi consistenti di payos.
La terza ondata migratoria dai paesi dell’Est – Romania, Slovacchia, Bulgaria, Bosnia, Kosovo, Macedonia ecc.- verso Occidente ha avuto inizio negli anni Novanta del secolo scorso, con la caduta del comunismo, e dura tuttora. Ma a questa migrazione dedicherò un capitolo specifico.

Le migrazioni in Italia e il barò porrajmos

La vicenda dei rom italiani è per molti aspetti, sino agli anni trenta del secolo XIX, simile a quella dei loro fratelli spagnoli. Diramazioni delle ondate migratorie che, dalle regioni dell’Impero bizantino e da altre zone orientali, portarono, tra il XIV e il XV secolo i rom in Spagna, giunsero anche in Italia e in altri paesi europei. Probabilmente ci fu un gruppo che arrivò via mare, partendo dalle coste albanesi e greche; e un altro via terra. Si ritiene che i rom dell’Italia centro-meridionale appartengano al gruppo più antico, giunto attraverso l’Adriatico dalla Grecia e dall’Albania. Comunque nel XV secolo si erano stanziati pure nel nord della penisola e anche in Italia furono perseguitati dai potenti, nelle signorie e nello Stato pontificio. Nel 1570 il Papa Pio V fece catturare uomini rom nei dintorni di Roma per costringerli a fare i rematori per la flotta che si stava allestendo per la battaglia di Lepanto.
Continuarono a vivere, a fuggire, a fermarsi in luoghi diversi, fino al secolo scorso. Sotto il regime fascista, nel 1941, il Ministero dell’interno ordinò ai prefetti di diverse città di rastrellare gli “zingari” e rinchiuderli in campi di concentramento: tra questi, Perdasdefogu, in Sardegna, il convento di San Bernardino ad Agnone, in provincia di Campobasso, a Tossicia, in provincia di Teramo. Parecchie di queste persone, di tutte le età, morirono di fame e di sete. Dopo l’8 settembre, quelli che riuscirono, fuggirono. Quelli che furono presi nella repubblica sociale, finirono nei campi di sterminio.
Furono vittime del nazismo 500.000 rom – lo sterminio viene ricordato con il termine il barò porrajmos = grande divoramento –; 1000 furono i rom che, deportati dall’Italia, vennero uccisi nei lager. Un libro bellissimo di un rom tedesco sopravvissuto ad Auschwitz, parla della propria tragica esperienza con candore e incisività: è La lente focale, di Otto Rosenberg, ed. Marsilio, 2000.

A proposito dello sterminio dei rom ad Auschwitz, Nedo Fiano, ebreo milanese, anch’egli sopravvissuto ad Auschwitz, ha raccontato nella riunione nella scuola ebraica di via Mayer cui ho accennato precedentemente che nel lager arrivarono nel febbraio del ‘43 più di 10.000 “zingari”, e furono rinchiusi in una zona apposita. Stavano raggruppati in famiglie nel Zigeunerlager e per l’ebreo Nedo richiamavano la vita, una vita rumorosa e colorata, nonostante le condizioni durissime in cui vivevano anch’essi. Quando i nazisti decisero di mandarli nelle camere a gas, all’inizio dell’agosto del 1943, a differenza di altri deportati sapevano bene che cosa sarebbe toccato a loro e ai loro figli e ci furono scene di disperata ribellione.
Lo sterminio dei rom, ancor più di quello degli ebrei, in Spagna non è ricordato con intensità e anzi da parte di molti neppure conosciuto. Il franchismo non fu un regime che esercitasse il razzismo sterminatore che ci fu in Germania e in Italia. Ma quelli che ora hanno cinquant’anni frequentarono la scuola nel periodo franchista, e allora – e forse anche negli anni della transizione – di queste colpe dei regimi alleati del caudillo non si parlava. E poi, quando è arrivata la libertà, molte cose sono finite nel dimenticatoio o quanto meno nella nebbia.

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ROM E SINTI IN SPAGNA E IN ITALIA: I NUMERI

I numeri in Spagna e in Italia

La consistenza numerica della popolazione gitana in Spagna, secondo Gamella, a metà degli anni novanta oscilla tra i 500.000 e i 700.000, già allora l’1,5% della popolazione totale: quindi press’a poco 150.000 “focolari” gitanos, con 4 o 5 membri per ciascuno. Predominano fra questi, famiglie formate dai soli coniugi o da genitori e figli, qualche volta si aggiungono i nonni, se sono vedovi. Spesso in case vicine ci sono altre famiglie gitane, legate da parentele di vario grado, e in genere bilaterali (parenti della parte femminile e di quella maschile della coppia). Negli ultimi anni però sono arrivati in Spagna oltre 730.000 rumeni, molti dei quali (finora non sono riuscita a sapere quanti) romá.
Perciò è probabile che questo dato sia coerente con quelli elaborati nel ’98 da uno studioso del Centro di Ricerche Zingare de La Sorbonne di Parigi. Dalla tabella presente nel libro di Spinelli (op. cit., pag. 99) si ricava che alla fine del millennio la popolazione gitana in Spagna ha una consistenza che va da 800.000 a 1.000.000 di persone.
In Andalusia – i dati si riferiscono sempre alla metà degli anni novanta – ci sono più di 250.000 gitanos, il 40% di quelli spagnoli, e in alcuni pueblos intorno a Granata costituiscono il 15% della popolazione.
Vivono, come vedremo in un prossimo articolo, in case di livelli vari, almeno dagli anni successivi all’avvento della democrazia. Molti gruppi e famiglie di gitanos si concentrano anche in quartieri periferici di grandi città, andaluse e non: di Madrid, Barcellona, Valenzia, Siviglia, Granata, Malaga, Alicante ecc. (Gamella, Exclusión social y diferencia étnica: el caso de los gitanos; e poi Gitanos andaluces: presente y futuro de una minoría étnica).

In Italia le cifre sono più incerte. Si è parlato di una base di partenza di 150.000 sinti e rom; la tabella inserita nel libro di Spinelli riporta un numero da 90.000 a 110.000, a cui, secondo l’autore, dovrebbero aggiungersene altri 10.000 o poco più immigrati recentemente dai paesi dell’Est europeo. Eva Rizzin, giovane ricercatrice appartenente alla minoranza sinta, che ha conseguito il dottorato di ricerca in geopolitica e geostrategia presso l'Universita' di Trieste nel 2007, e ha partecipato al seminario di Villa Emma a Nonantola, porta dati un po’ diversi: 150.000 in Italia (0,25% della popolazione totale).
Spinelli divide così i Rom italiani, in base al loro arrivo nella penisola: da 40.000 a 45.000 rom nelle regioni meridionali e anche in piccole comunità di Milano, Bologna e Ancona; 35.000-40.000 insediatisi tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX soprattutto nel Centro-Nord (soprattutto in Friuli-Venezia Giulia, e in zone della Toscana e dell’Umbria); da 25.000 a 35.000 rom di recentissima immigrazione, arrivati dai paesi dell’Est europeo dopo il crollo dei regimi comunisti e sparsi per la penisola.
Di tutti questi, almeno 75.000 sono cittadini italiani che dovrebbero godere degli stessi diritti di tutti gli altri italiani (Spinelli, op.cit. pagg. 99-100).

La “favola” semiromantica della vocazione al nomadismo

Tutti quelli che in Italia – in libri, in convegni, in incontri – e in Spagna – mi riferisco soprattutto a Juan F. Gamella – si sono espressi con cognizione di causa sul preteso “nomadismo” di queste popolazioni, hanno negato recisamente che si tratti di una scelta e di una sorta di “vocazione”: il nomadismo è stato piuttosto frutto di una costrizione o si è trattato di spostamenti più o meno “circolari” dovuti al tipo di lavoro che queste persone svolgevano soprattutto nel passato.
Spiega a tal proposito Gamella: “ I gitanos andalusi sono, da varie generazioni, una popolazione stanziale, sedentaria, con residenza fissa; più dell’85% delle famiglie gitane vivono negli stessi comuni da più di 15 anni. Da secoli non li si può considerare propriamente nomadi, se mai transumanti, con spostamenti al tempo stesso periodici e stagionali generalmente richiesti dal loro lavoro e dalla loro occupazione, ma all’interno di circuiti generalmente stabili. I gitanos andalusi sono gente ‘di qui’, questa è terra loro come degli altri che gitanos non sono.” (Exclusión social y diferencia étnica, cit.); e altrove aggiunge che molti gitanos spagnoli lavorano come salariati in campagna e anche nel settore del ristoro (bar, ristoranti) e ciò li porta a spostarsi stagionalmente in zone diverse del paese.
I gitanos spagnoli, come abbiamo visto – riprenderò il discorso in uno dei capitoli che seguiranno – hanno quasi tutti, bella o brutta che sia, in buone condizioni o in degrado, circondata da gagé o vicina a quelle di altre famiglie gitane, una casa.
In Italia invece ci sono i terribili “campi nomadi”, legali o illegali (anche di questi parlerò tra poco) e i loro abitanti sono spesso costretti a spostarsi perché scacciati. Solo in Abruzzo e in qualche altra zona i rom hanno potuto trovare alloggio in case. Hanno avuto rapporti di collaborazione, ma anche di conflitto, con la popolazione maggioritaria e con le istituzioni. C’è da aggiungere che non sempre il dialogo tra i rom italiani e le istituzioni è stato favorito dall’appartenenza alla sinistra o al centro-sinistra dei rappresentanti istituzionali, degli enti locali o del governo centrale. Anzi…

I rom in Europa e in Romania

Tra i dati relativi ad altri paesi europei, va tenuto presente, per i ragionamenti successivi, quello della Romania: nel 1998 c'erano tra 1.800.000 e 2.500.000 rom, da cui si andavano staccando quelli che stavano migrando verso occidente.
In Europa ci dovrebbero essere tra i 7.200.000 e gli 8.700.000 rom, secondo i dati riportati da Spinelli, circa 15.000.000 secondo i dati forniti da Eva Rizzin.

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GITANOS E PAYOS IN TEMPI DI DEMOCRAZIA –1– IN ANDALUSIA E IN SPAGNA

Quindici anni di conflitti

Inizio, come al solito, dalla Spagna, anzi dall’Andalusia (ma il discorso si estende spesso ad altre zone del paese) facendo riferimento a un altro studio di Juan F. Gamella, Exclusión social y conflicto étnico en Andalucía: Análisis de un ciclo de movilización y acción colectiva antigitana (1976-2000).
Sarò costretta a semplificare drasticamente un discorso ricchissimo, di grande spessore e dalle molte articolazioni.
Dice Gamella: “Dalla instaurazione della democrazia, i gitanos hanno avuto accesso, in Spagna, in maniera crescente, alla condizione di cittadini di uno stato sociale e di diritto, e nel loro caso è stato fondamentale l’impatto delle politiche pubbliche sviluppate soprattutto negli anni ’80 e ’90. Nel campo dell’istruzione, della sanità, della casa, dei sussidi per la disoccupazione, del pensionamento, del sostagno all’handicap, nella partecipazione politica e sociale, il cambiamento sta diventando decisivo, probabilmente il maggiore di tutta la storia dei gitanos spagnoli.”
Proprio questo ingresso dei gitanos nella piena cittadinanza ha scatenato il conflitto con gruppi anche estesi di payos. Probabilmente non c’erano scontri di questo tipo al tempo del regime franchista, quando i gitanos di fatto erano parte della classe più povera, appartata dai ceti medi della popolazione paya: i diseredati di Spagna sopportavano allora la propria condizione con inevitabile rassegnazione.
In democrazia, invece, l’intensificazione dei contatti fra popolazione maggioritaria e minoranza gitana, la concorrenza che ha iniziato a nascere fra i due gruppi, il rifiuto di molti payos al vedersi equiparati a una popolazione considerata a lungo di condizione inferiore alla propria, tutto questo ha scatenato reazioni anche di tipo razzista. L’altro elemento, complementare a questo, è da riconoscere nella presa di coscienza dei propri diritti da parte dei gitanos e nella “ resistenza di settori di questa minoranza o di organizzazioni contrarie al razzismo e, soprattutto, del nuovo movimento sorto nella società intorno alle associazioni gitane e alle loro federazioni.”
Al tempo stesso, il cambio di abitudini, di costumi di vita, il dilagare improvviso di droghe illegali e soprattutto dell’eroina, ha avuto profonde ripercussioni su questa minoranza, come si dirà più avanti. Gruppi di gitanos sono stati coinvolti nel traffico di sostanze stupefacenti, e i gitanos in quanto tali sono stati spesso indicati, da un’opinione pubblica turbata e ostile, come i trafficanti di droga tout-court.
Per circa quindici anni, dal ritorno alla democrazia, si sono avuti in Andalusia e anche in Spagna scontri, anche assai cruenti, proteste collettive e denunce individuali e collettive, che hanno raggiunto il loro acme nel 1991-1992. Gamella sostiene, in base allo studio puntuale della cronaca giornalistica di quegli anni, che i motivi delle proteste e degli scontri possono essere messi in quest’ordine: 1- casa: inserimento di gruppi di gitanos in quartieri abitati da payos; 2- scontri: tra singoli payos e gitanos, con aggressioni degli uni contro gli altri o viceversa; 3- scuola: inserimento di bambini e ragazzi gitanos nelle scuole; 4- senso di insicurezza per la convinzione che i gitanos sono delinquenti o spacciatori di droga.
La proteste per i costi dei servizi sociali, per la concorrenza nell’occupazione e per razzismo esplicito sono state invece molto ridotte.
Riporto di seguito qualche esempio di questi scontri tra quelli raccontati da Gamella.

Scontri per le case assegnate a gitanos

1984– 400 persone del sobborgo Elcano di Siviglia bloccano la strada Siviglia-Cadice per protestare contro la decisione del Comune di installare in un terreno periferico 25 prefabbricati per altrettante famiglie gitane cacciate da un altro sobborgo;
1985 – 200 persone guidate da esponenti del gruppo del Partido Popular nel Comune
manifestano a Olula del Rio, paese di 4000 abitanti vicino ad Almeria contro la presenza di famiglie gitane. Si era infatti diffusa la voce falsa che le autorità avessero il progetto di trasferire gruppi di gitanos catalani nella zona di Almeria.
1992- 300 persone a Siviglia impediscono al sindaco di inaugurare l’inizio dei lavori per una casa per gitanos che abitano in baracche nel sobborgo sivigliano di Torreblanca: dichiarano di non essere razzisti, ma di non volere la droga (binomio “matematico” gitanos=droga, ironizza Gamella).

Scontri determinati da liti e delitti individuali

1986- Un giovane payo viene aggredito in una piazza di Martos, un paese di 20.000 abitanti nei pressi di Jaén, da un gitano pare ubriaco. 200 payos di Martos incendiano 30 case di gitanos.
1987 – Ad Alcaudete, paese di 12.000 abitanti di cui 600 gitanos, vicino a Jaén, una guardia campestre viene arrestata, perché ha sparato alle gambe di un gitano che stava prendendosi, senza autorizzazione, olive restate a terra dopo la raccolta. Chiudono i bar, i negozi e le scuole in segno di solidarietà con la guardia e 500 payos scendono in strada per protestare duramente contro le istituzioni e vengono dispersi dalla polizia.
1992 – A Loja, paese di 21.000 abitanti vicino a Granata, un ragazzo payo, Antonio, ammazza il figlio più giovane di una famiglia gitana e viene incarcerato. Pare che i fratelli dell’ucciso deridessero e perseguitassero in modo pesante Antonio, che soffre di un leggero ritardo mentale. Dopo un mese, Luís, il maggiore dei fratelli gitanos, va a casa di Antonio e uccide un fratello di questi. Al cimitero circa 6000 payos assistono alla sepoltura del ragazzo payo e successivamente danno luogo a una manifestazione minacciosa contro i gitanos, che viene contenuta dalla polizia… In seguito ai fatti, Gamella e suoi collaboratori interrogano persone di ambo le parti, per sondare le posizioni. Solo da pochi payos vengono pareri equilibrati, in cui si riconoscono anche le responsabilità della propria “parte” (Juan F. Gamella y Patricia Sánchez-Muros, Los crímenes de Loja. Visiones payas y gitanas de un enfrentamiento étnico -1996).

Scontri determinati dall’inserimento nella scuola di base di bambini gitanos 

1989 – A Malaga, 800 genitori di alunni di un “colegio” (scuola di base, compreso l’asilo) bloccano per 10 giorni, con catene, l’istituto scolastico dei figli, impedendo loro di assistere alle lezioni, per opporsi all’ammissione di 14 bambini dai quattro ai dodici anni, di un quartiere marginale, dei quali 6 sono gitanos. Alla fine la guardia municipale deve andare a tagliare le catene.
2000- Ad Andujar, un paese in provincia di Jaén, 500 genitori costringono i figli a uno sciopero delle lezioni per evitare che vengano ammessi alla scuola 6 bambini gitanos (nella scuola il 25% dei bambini sono gitanos e i maestri affermano che non hanno alcun problema di inserimento). I genitori che hanno promosso quest’azione affermano che in loro “non c’è neppure un pizzico di razzismo”.

Il rapido calo della conflittualità

A partire dal 1995, si assiste a un rapido calo della conflittualità. Gamella attribuisce gran parte del merito di ciò all’azione incessante di associazioni gitane e non gitane contro il razzismo, a una mobilitazione continua della parte della società civile che si batte contro la discriminazione, all’ingresso di gitanos nella mediazione culturale e istituzionale e nella vita politica e istituzionale. E, a quanto si ricava dai suoi racconti, anche a una generale tenuta – nonostante qualche cedimento momentaneo – delle istituzioni democratiche di fronte all’urto delle ondate razziste.
Gamella, che nel saggio citato ha portato dati che non ho potuto riproporre per ragioni di spazio anche da altre zone della Spagna, afferma: “…la relazione tra le dimensioni della minoranza gitana e l’entità della mobilitazione o azione collettiva contro i gitanos non è diretta. L’Andalusía, la regione con una maggiore proporzione di gitanos, tanto in cifra assoluta che relativa, non è la zona dove nascono maggiori conflitti. Se il 40% dei gitanos spagnoli sono andalusi, solo il 20% dei conflitti della nostra ricognizione si sono verificati in questa regione.”
L’ostilità dei payos è dunque fortemente diminuita, ma non cessata del tutto. Ci sono tuttora in Spagna coloro che pensano che i gitanos abbiano sempre torto e che nel loro caso le colpe di un individuo debbano automaticamente ricadere su tutti. Infatti…

Leggo oggi, 28 ottobre 2008, su El País, questo titolo:

I gitanos fuggono da Castellar a causa degli incidenti dopo una lite

Nell’articolo si dice che a Castellar, paese di 3.800 abitanti vicino a Jaén, in seguito a una lite fra giovani gitanos e payos, si è tenuta “una manifestazione spontanea nella quale centinaia di compaesani hanno chiesto con grida e slogan l’espulsione dei gitani, a cui davano la colpa della scalata della delinquenza negli ultimi mesi. La Guardia Civile, che esercita la vigilanza nel paese, ha arrestato un cittadino di etnia gitana, di 37 anni, per minacce di morte a compaesani”. I payos hanno tirato pietre contro le case di un sobborgo marginale, in cui vive una comunità gitana di 93 persone, che sono tutte fuggite, ad esclusione di due famiglie. Alcuni membri di queste due famiglie, barricati in casa, hanno commentato la vicenda.
“ ‘Perché fanno così?’, si domandavano attoniti José y Toribia, ancora con la voce tremante per quello che poteva succedere alla loro famiglia. ‘Colui che ha commesso qualcosa di male, paghi, però non ci mettano tutti nello stesso sacco’, sostenevano, mentre lamentavano di non poter neppure uscire per strada a comprare cibo per i loro figli.”
‘Che se ne vadano dal paese’, diceva senza alcun riguardo presso la porta della scuola Justa Bustos, riscuotendo l’approvazione delle altre madri. Soltanto qualcuna, come Eva Maria Fernández, avvertiva sul rischio di generalizzare: ‘I bambini non devono pagare le conseguenze, devono andare a scuola’. Sicuro, tutti si affannavano a dichiarare che la rivolta nel paese non ha nulla a vedere con il razzismo. Vari professori della scuola, come Antonio, dichiaravano il proprio timore per il danno che questi incidenti possono provocare nella formazione dei piccoli scolari gitani.”
Molti ce l’hanno con il sindaco socialista, che ha consigliato ai gitanos di allontanarsi provvisoriamente, ma ha rifiutato di mettersi a capo della protesta dei payos, dichiarando che è suo dovere difendere la minoranza.

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ROMÁ E PAYOS IN TEMPI DI DEMOCRAZIA –2– L’ULTIMA MIGRAZIONE IN SPAGNA

Differenze nella percezione di questa migrazione in Spagna e in Italia

In Spagna si è avuta, negli anni Novanta e nel primo decennio del terzo millennio che stiamo vivendo, una migrazione consistente di romà dall’Est europeo e in specifico dalla Romania. È un processo analogo a quello che si è verificato in Italia, dove molti hanno avuto l’impressione di inspiegabili e minacciosi arrivi “a valanga”. Per la Spagna dispongo di un primo studio di Juan F. Gamella, La inmigración ignorada: Romá / gitanos de Europa oriental en España, 1991-2006: questo saggio mi consente di proporre dati e interpretazioni che forse mancano per la situazione italiana. Pertanto questo capitolo sarà dedicato solo alla migrazione in Spagna. Gran parte dell’analisi di Gamella potrebbe probabilmente, senza che si commetta arbitrio, essere generalizzata ai romà italiani, pur se il contesto in cui giungono i migranti di sicuro influisce fortemente sui loro comportamenti. Forse – è un’impressione che ho ricevuto nel corso di letture e degli incontri a Milano e a Nonantola a cui faccio riferimento in queste mie note - la vera “specificità” della situazione italiana sta nel fatto che nel nostro paese anche i sinti e rom entrati da secoli e da decenni sono stati relegati duramente ai margini della società e delle città, e la nuova migrazione, parallela a quella in Spagna, non si differenzia, ma aggiunge nuova miseria, nuova emarginazione, nuovi drammi a quelli già esistenti, mai affrontati dai governi italiani nel tempo.

Le “ragioni” di un grande movimento migratorio e lo sguardo dall’interno dell’antropologo

Dice Gamella, facendo riferimento anche ad altri ricercatori: “Soltanto in Romania, Bulgaria e Slovacchia si calcola che vivano intorno ai tre milioni di romá/gitanos. E ricordiamo che nell’Europa dell’est i principali perdenti del processo di democratizzazione sono stati i romá o gitanos. Di fatto ‘per l’immensa maggioranza dei gitanos il cambio di regime ha significato un deterioramento nelle loro opportunità di impiego, un crollo delle loro condizioni di vita e una crescente ostilità da parte dei concittadini non gitanos, che ha portato a un maggiore isolamento sociale.’ (Barany 2002: 17). Una gran parte è restata senza lavoro, i livelli di scolarizzazione, già bassi, si sono ridotti, e la loro situazione generale si è aggravata (Crowe 1999; Zoon 2001a, 2001b). Si rileva pertanto una certa nostalgia della vita che conducevano sotto il regime comunista, quando ‘molti romá si abituarono alla protezione dello stato paternalista e nella nuova Europa orientale non furono capaci de adattarsi agli spietati meccanismi del mercato.’ (Barany 2002: 201).
Gamella precisa che, tra gli strumenti della sua ricerca, c’è il metodo dell’osservazione partecipante” che ha portato lui e altri ricercatori quasi a convivere quotidianamente, per due anni, “con una rete familiare di romá que vivono in Granada e hanno familiari nelle zone di Almeria, Jaén e Malaga…” e anche in insediamenti di Madrid.

I numeri

Tra il 1998 e il 2004, fa notare Gamella utilizzando i dati dell’Institudo Nacional de Estadística, il numero dei permessi di residenza a immigrati romeni si è moltiplicato per quaranta e “nel 2005 e 2006 questa tendenza ha continuato a crescere: è un’onda che sicuramente andrà in salita nei prossimi anni, ora che la Romania fa parte dell’Unione Europea”.
In un articolo de El País del 15/07/2008, si parla di 728.967 rumeni e bulgari domiciliati, di cui si chiede la regolarizzazione… indovinate chi la chiede? Il Partido Popular, di centro-destra, l’opposizione più importante al governo socialista! Una bella differenza fra l’Italia e la Spagna attuali! Tra questi immigrati romeni, e ancor più tra gli irregolari, ci sono i romá-gitanos, di cui Gamella nello studio citato non riesce però a precisare il numero.

Fasi della terza immigrazione, conflitti e insediamenti

In Spagna sono arrivati gruppi di romá rumeni in diverse fasi: dapprima singoli o piccolissimi gruppi che si disperdevano nel territorio, quindi gruppi più estesi che talvolta hanno formato insediamenti relativamente consistenti, in qualche caso negli stessi luoghi dove prima dei “rialloggiamenti” messi in atto in tempi di democrazia, vivevano i gitanos arrivati decenni o secoli prima. Il primo insediamento di questi recenti immigrati, 100 persone appartenenti a 20 famiglie, si trovava all’aperto, presso una discarica nella periferia nord di Madrid: vivevano in tende, furgoni, baracche improvvisate. Di loro si sono occupati medici, infermieri, volontari della Croce Rossa. A questo hanno fatto seguito nel tempo molti altri insediamenti di dimensioni abbastanza grandi in diverse località della Spagna. Spesso i membri di questi insediamenti chiedevano asilo politico, e, nel caso fosse loro negato (il che avveniva spesso) facevano ricorso e ciò dava loro la possibilità di fermarsi ancora per molto tempo. Altro ostacolo a espulsioni stava nel fatto che i minori di sedici anni erano più del 30% di questi gruppi, e godevano naturalmente di una particolare protezione.
Interessante è quello che è accaduto a un grande insediamento di romá in un vecchio macello di polli, nel paese di Rivas-Vaciamadrid, a 15 chilometri dalla capitale spagnola. Nonostante le pessime condizioni igieniche e sanitarie, l’insediamento si è convertito in un punto di incontro e di riferimento per romá che giungevano dalla Romania, dalla Germania, dall’Italia e dalla Francia. Più di 300 persone sono arrivate a vivere in quel luogo. Ci sono state liti interne, anche con feriti, scontri con la polizia e con i payos dei paesi circostanti. Nel 1998 le autorità locali, appartenenti a partiti di sinistra, hanno ottenuto dal governo – allora di centro-destra - di poterli cacciare, dietro una “ricompensa” di 150 euro a persona.
Una storia ancor più interessante è quella dell’insediamento di Fuencarril, nella zona nord di Madrid, dove anni prima si era installato il primo nucleo di romá (vedi sopra). Qui il numero dei membri era nel 1999 di più di 500 persone, che vivevano in furgoncini, tende, circondate da immondizia, senza latrine e con una sola fonte d’acqua. L’Unicef nel 1999 ha denunciato la condizione di miseria e di pericolo in cui vivevano i minori. Allora le istituzioni hanno imposto, fra l’altro, la scolarizzazione immediata dei bambini e il controllo sanitario di 20 neonati nati in Spagna. Poco tempo dopo un bambino è morto bruciato nell’incendio di una tenda, e il suo fratellino ha riportato scottature alle mani. Ciò ha fatto scoppiare un’accesa polemica pubblica dei partiti di sinistra e di associazioni umanitarie contro autorità locali e governative del Partido Popular, che era allora al potere: gli enti locali hanno dovuto mettere docce, gabinetti, raccogliere l’immondizia, varare un programma per la scolarizzazione dei bambini. Però, durante l’estate, approfittando delle vacanze scolastiche, la Delegazione del Governo ha espulso i romá e il sito è stato ripulito. Ma, mentre i romá se ne andavano, un altro loro bambino, che giocava nel posteggio di un distributore di benzina dove si era fermata la sua famiglia, è morto sotto le ruote di un furgone. Nei giorni successivi, i romá cacciati da Fuencarril sono andati ad accamparsi nei diversi parchi delle zone residenziali di Madrid. Le autorità sono state costrette a trovare loro una sistemazione in una scuola non più in funzione, una specie di “promessa per il futuro”.
Nel 2001, con la Legge sugli stranieri, si sono indurite le condizioni per l’accoglienza e per la concessione della residenza agli immigranti. Ma nel 2002, con l’ingresso della Romania nell’area di Schengen, la Spagna è divenuta il secondo paese europeo per numero di lavoratori rumeni immigrati, romá compresi: il primo è la Germania. Si sono formati grandi insediamenti in molte province: Madrid, Valenzia, Castellón, Barcellona ecc.
Gli anni successivi sono stati contrassegnati da qualche tentativo di espulsione, di trasferimento e di distruzione degli accampamenti. Anche se quello che si è detto nel precedente capitolo, la caduta della conflittualità con la maggioranza dei payos, vale anche per questi nuovi arrivati. Parte di loro ha cominciato a sistemarsi in case a basso prezzo delle periferie.

Caratteristiche di questa popolazione

I romá giunti con l’ultima ondata migratoria costituiscono una popolazione giovane, “con una media di 23,5 anni d’età e il 33% è minore di 16 anni. Parlano in romaní (“si calcola che possono essere più di 6 milioni coloro che parlano in qualcuno dei sette grandi gruppi dialettali del romaní); le donne si vestono con le gonne lunghe colorate, quelle sposate indossano il tipico grembiule, usano i fazzoletti per raccogliere i capelli. Ma l’aspetto senza dubbio più importante sta in un ‘progetto’, il cui obiettivo finale è il ritorno alla ‘loro terra’, con risparmi che permettano il miglioramento del livello di vita… Essi continuano a considerare la Romania come propria patria… Non si sentono apolidi né spagnoli, anche se i bambini e le bambine, soprattutto quelli che sono da anni qui, e si esprimono meglio in castigliano o catalano, forse stanno sviluppando una nuova identità più complessa e binazionale…
Curiosamente il nomadismo che si attribuisce a questi gruppi per le loro caratteristiche di gitanos, e che riflette la non conoscenza vera dell’‘altro’, è più frutto della emigrazione romaní che della loro cultura originaria. Detto in altro modo, sono molto più disposti a cambiare residenza e a cambiare luogo di vita mentre si trovano in Spagna di quanto lo fossero quando vivevano in Romania, dove sono soliti formare parte di popolazioni stanziatesi nelle stesse zone urbane e rurali da decadi o secoli.”

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ROM, SINTI E GAGÉ IN TEMPI DI DEMOCRAZIA – 3– IN ITALIA

Cambiamenti faticosi in Spagna, immobilità in Italia

Saltano immediatamente agli occhi differenze rilevanti fra Spagna e Italia, nel rapporto fra popolazione maggioritaria e minoranze sinti e rom nei decenni della democrazia. L’Italia ha una vita democratica più lunga di quella spagnola, ma la minoranza sinti e rom non ha avuto parte nello sviluppo democratico del paese, è vissuta, per così dire, fuori dalla storia degli altri. Sicuramente alcuni enti locali si sono occupati di questa minoranza (parlerò nel prossimo articolo di qualche situazione di cui ho notizia); ma lo stato, le varie maggioranze governative, le varie opposizioni hanno manifestato nei decenni uno spaventoso vuoto culturale rispetto a questi gruppi, in gran parte di cittadini italiani. È facile dire: “Sono loro a non volersi integrare.” Al di sotto di un certo livello di vita, è impossibile, senza un aiuto di chi ha il potere, senza uno spazio lasciato dalla popolazione maggioritaria, risollevarsi, tracciare una propria strada autonoma di emancipazione. E da quanto ho scritto nei precedenti capitoli, è facile rilevare che non c’è una differenza così grande, come solitamente si pensa, magari vagheggiando romanticamente danze e musica flamenca, fra la migrazione gitana in Spagna e in Italia e che non sono affatto mancate in Spagna spinte razziste. Però una molteplicità di contingenze storiche, sociali e politiche ha fatto sì che le istituzioni, i partiti politici, pur qualche volta complici di atti anche violenti di rifiuto, nel complesso abbiano posto un argine democratico: ciò ha lasciato lo spazio per la crescita di una forte e preparata rappresentanza della minoranza gitana nei diversi luoghi di mediazione politica e sociale. Non tutti i problemi sono risolti, come si vedrà nei prossimi capitoli sulle condizioni abitative, il lavoro e la scuola, ma ci sono forse le basi per lo sviluppo di una integrazione della minoranza che non sia assimilazione forzosa.
Per noi è stato diverso. Campi nomadi, convinzione diffusa che siano nomadi per natura, ladri per natura, rubabambini, ignoranti che non vogliono mandare i figli a scuola e… si potrebbero aggiungere molte altre cose che tutti sanno. La stampa , anche democratica, non sempre ha fatto e fa il suo dovere di informare con precisione e correttezza: spesso è superficiale e si lascia tentare dal sensazionalismo.
Quello che è avvenuto in questi ultimi mesi ad opera della destra non è in rottura, ma in continuità con la condizione secolare di questa minoranza nel nostro paese, e, quel che più importa per evitare la genericità, decennale: l’Italia democratica in genere non se ne è preoccupata fino a poco tempo fa. Ho l’impressione che un salto di qualità sia stato segnato anni fa da marce notturne guidate da certi politici, e seguite dalla “gente” infuriata, che battendo pentole e coperchi, faceva un fracasso tremendo per spaventare i bambini “zingari”… Ci sono stati da allora tanti fatti terribili che hanno seguito questa tappa dell’orrore, fino agli attacchi Ponticelli, di Roma, di Milano.

La Repubblica e il comunicato del Ministro dell’Interno

Claudia Fusani, giornalista della Repubblica (ritengo che sia giusto prendersela più con quelli che si considerano amici che con quelli che sono avversari, specie se si tratta di avversari inqualificabili), nell’aprile del 2007 ha scritto tre articoli, uno di seguito all’altro. Il primo è Fra cronaca nera e integrazione- Fotografia della realtà nomade in Italia, certamente non condivisibile, nel tono e fors’anche nei dati, di cui cita solo in parte le fonti. Una visione oscillante fra lo stereotipo negativo (se la vogliono, sono nomadi, ecc…) e lo stereotipo “positivo”: musica, balli, canti, ecc.. Fra le altre cose, la giornalista afferma: "Oltre ai 160 mila tra rom, sinti, camminanti e rom romeni già presenti in Italia, potrebbero aggiungersi nei prossimi mesi almeno altri 60 mila rom romeni che andranno a modificare quei già difficili equilibri raggiunti dopo lunghi anni di compromessi e fallimenti."

Facciamo un salto in avanti di un anno e mezzo. Un’agenzia Reuters del 23 ottobre 2008, dice: “Sono oltre 12mila i "nomadi" censiti nei campi di Roma, Milano e Napoli dal Viminale. Lo ha annunciato oggi il ministro dell'Interno Roberto Maroni … Sono stati individuati nelle tre città ‘167 campi, dei quali 124 abusivi e 43 autorizzati’, e censite ‘12.346 persone, 5.436 delle quali minori’….
Ora, ha detto il titolare del Viminale, i dati raccolti saranno esaminati e poi si passerà alla ‘valutazione dei progetti d'intervento’ come previsto dall'ordinanza del 31 maggio scorso, ‘mai modificata’, ha tenuto a sottolineare Maroni riferendosi alle critiche sollevate dall'Ue. E aggiunge: “L'obiettivo è passare dai campi nomadi autorizzati o tollerati alla struttura del 'villaggio attrezzato’, cioè in regola con le norme igienico-sanitarie, con prestazioni e servizi… un progetto, per quanto ‘ambizioso’, che rappresenti un modello per il resto dell'Europa.”
Mi chiedo: il censimento riguarda i campi autorizzati e quelli non autorizzati o solo questi ultimi? La recente invasione a valanga dei rom, di cui parlava la Fusani, è questa? Si sono nascosti in altre parti d’Italia? Su che cosa il ministro poggia l’ambizione (o insopportabile presunzione, viste le premesse?) di insegnare all’Europa come si fa? Qualcuno ci capisce qualcosa di questo comunicato quasi ignorato dalla stampa, dopo tutto lo scandalo che si è sollevato sulle impronte che avrebbero preso ai bambini, sugli archivi paralleli in cui sarebbero stati schedati cittadini italiani, per ragioni razziali? Quale dei giornalisti di testate democratiche si ricorda più di queste notizie scandalose date dai loro giornali democratici poco tempo fa?

Quel ch’è certo è che di bambini “zingari” che sono bruciati in baracche o in campi nomadi ce ne sono stati parecchi nel nostro paese, di bambine “zingare” morte in modo atroce ce ne sono pure state, ma nessuno di questi casi ha suscitato la rivolta per il rispetto dei diritti umani e il dibattito politico che si è sviluppato in Spagna negli anni novanta in seguito ai due episodi tragici che ho ricordato nel precedente capitolo. Non mi soffermo su altre vicende che attestano crudeltà o durissima indifferenza a cui si è assistito in Italia: ciascuno può ricordarne tante, facendo appello alla propria memoria.

Nel 2000 l’European Roma Right Center, un’organizzazione istituzionalmente riconosciuta, ha denunciato la violazione dei diritti della minoranza rom e sinti in Italia. La denuncia è stata fatta propria dal Comitato Europeo per i Diritti Sociali. È questo un documento importante, facilmente reperibile in internet, ricco di dati e di analisi non certo confortanti. E negli otto anni successivi a questa denuncia, la situazione è precipitata.

Gli zingari rubano i bambini?

Per ultimo, la fatidica domanda: “Gli zingari rubano i bambini?”
Se rivolgi questa domanda a qualcuno in Andalusia, dove c'è la maggiore densità gitana (250.000 quelli di insediamento meno recente) l'interlocutore ti guarda come se fossi scemo. Ma in Italia?
Ricordo una puntata dell’Infedele di qualche anno fa. Lerner, con la puntigliosità un po’ ossessiva che gli è propria, aveva verificato presso il Ministero dell’Interno se ci fosse menzione di almeno una condanna per rapimenti di bambini da parte di zingari: nulla. Le persone che denunciano sono spesso “testimoni” isolati, che talvolta ritrattano. Se si prova a seguire vicende di questo tipo – io ci ho provato con molta attenzione – ci si accorge che finiscono in nulla. Ma i giornali di rado pubblicano chiare smentite, perché quelli che sono stati accusati come rapitori, anche quando vengono scagionati, non hanno la forza – politica ed economica – di imporre che sia informato il pubblico della falsità delle accuse.. Lerner continua a tornare su queste false accuse ed è possibile trovare la documentazione di questa sua “lotta” in internet.

In proposito, può essere significativo ricapitolare la storia degli “avvistamenti” di una bambina di Mazara el Vallo, purtroppo sparita alcuni anni fa, e riconosciuta con certezza da italiani in varie parti del mondo, in compagnia di “zingare”: anche questi avvistamenti sono finiti in nulla.
È pazzesco che siano membri di questo popolo a dover dimostrare di non aver l’abitudine di rapire i bambini, e non quelli che li chiamano in causa per tali delitti ad avere l’obbligo di dimostrare che le loro accuse sono fondate. L’accusa infamante e generale resta, anche se tutte le accuse specifiche sono finite nel nulla.

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SINTI, ROM, GITANOS, ROMÁ IN SPAGNA E IN ITALIA: RIFUGI E CASE

Case e ripari provvisori per i gitanos e i romá in Spagna

Riprendo, con qualche informazione in più, il discorso sul presunto nomadismo dei gitanos, dei sinti e rom italiani e spagnoli.
“I gitanos di Andalusia – dice il prof. Gamella – sono, da varie generazioni, una popolazione sedentaria e con residenza fissa; più dell’85% delle famiglie gitanas vivono negli stessi comuni da più di 15 anni. Da secoli non li si può considerare propriamente nomadi, se mai transumanti, con spostamenti periodici o stagionali generalmente dovuti a esigenze di lavoro e di occupazione, ma all’interno di circuiti in linea di massima stabili…
Negli anni di maggiore intensità emigratoria spagnola, dal 1959 al 1976, i gitanos seguirono ritmi abbastanza simili a quelli dei loro connazionali payos. Così, dall’Andalusia occidentale, dalla Mancia e dall’Estremadura, se ne andarono molti a vivere a Madrid; dall’Andalusia orientale, dalla Murcia si trasferirono in Catalogna, nelle Baleari e a Valenzia … Dalla Castiglia la Vecchia emigrarono nei Paesi Baschi. Un discreto numero di gitanos andarono a lavorare in Germania, Francia, Svizzera: è questo un fenomeno poco conosciuto…
In Andalusia i gitanos sono presenti in tutti i tipi di municipi e di raggruppamenti di popolazione, dalle più grandi città ai più piccoli e appartati villaggi e sobborghi. In quasi tutte le zone in cui vivono, i gitanos incontrano spesso vari problemi relativi alle infrastrutture e di servizi, e anche di spazio, qualità e dimensione delle case…
La maggioranza dei gitanos d’Andalusia non vive pertanto in blocchi di capanne e di baracche, ma in case periferiche di edilizia pubblica e in zone de recente costruzione, anche se è ancora rilevante la percentuale di famiglie gitane che vivono in rifugi molto deteriorati, incluse grotte e complessi abitativi che avrebbero dovuto essere provvisori, installati per assorbire coloro che venivano tolti dalle baraccopoli” (Juan F. Gamella, Exclusion social y diferencia étnica: el caso de los gitanos, cit.). Probabilmente Gamella si riferisce nell’ultimo paragrafo soprattutto ai romá di recentissima immigrazione, molti dei quali vivono ancora in baracche e grotte.
Su questi ultimi, Gamella racconta così: “O sono costretti ad adattarsi a baracche costruite con materiali di pessima qualità ricavati da demolizioni di costruzioni, o a vivere per lunghi periodi in furgoncini o roulottes deteriorate che formano accampamenti. Spesso le condizioni anche esteriori di questi accampamenti sono deplorevoli e poco salutari, però sorprende sempre lo sforzo di tenere uno spazio familiare pulito, ordinato e con un particolare senso di dignità e calore umano che fa parte della loro cultura e che raramente viene compreso dai payos, dai non gitanos
Però, via via che vanno sistemandosi, accrescendo i propri guadagni e migliorando il proprio inserimento lavorativo in Spagna, i romá prendono anche in affitto appartamenti o piccole case con giardino. Come succede pure con altri immigrati, spesso gli appartamenti in affitto sono utilizzati al massimo: il salone, che funziona come spazio comune durante il giorno, serve come camera da letto di notte, in genere per i ragazzi e gli uomini scapoli.” (Gamella, La inmigración ignorada: Romá / gitanos de Europa oriental en España, 1991-2006, cit.).

Campi nomadi in Italia

Nel nostro paese il “modello” dominante e generalizzato, sia per i rom e sinti che sono addirittura cittadini italiani, sia per gli irregolari di recente immigrazione, è il campo-nomadi, i cui abitanti vivono per lo più in roulottes, ma anche in baracche e rifugi poverissimi di vario tipo.
Su questi campi, su aggressioni da parte di cittadini – gagé – inferociti, su incendi, su vendette contro le comunità per delitti commessi da singoli, ecc., si possono trovare molte informazioni in internet, sui giornali, e perciò non mi ci soffermo a lungo. È di oggi, 28 ottobre, la richiesta di ergastolo per il giovane violentatore e l’uccisore di Giovanna Reggiani, un giovane residente in un campo nomadi di Roma e arrestato anche grazie alla denuncia di una sua parente che viveva nello stesso campo. Ricordo che la pastore della Chiesa Valdese, di cui faceva parte le signora uccisa, ha dichiarato durante la funzione funebre “La giustizia punisce i colpevoli. Non c'entrano capri espiatori. Oggi sentiamo che il gesto compiuto da uno penalizza un'intera comunità. Il dolore di oggi non può essere utilizzato per campagne di odio, discriminazione e intolleranze nei confronti degli immigrati, come è già accaduto… Siamo cristiani, dobbiamo dire no all'intolleranza e al razzismo”. Quello che è avvenuto dopo, è facile da ricostruire, per chi non lo ricordi. E anche quel che è avvenuto a Ponticelli, in seguito all’accusa di “rubabambini” contro una “zingara” di 16 anni.

Qualche situazione meno nota

La prima è quella di Mestre, dove il sindaco Massimo Cacciari e il comune di Venezia hanno varato il progetto di un “villaggio-nomadi” attrezzato, con uno stanziamento di 2.800.000 di euro. I sinti che dovrebbero andare ad abitarvi – tutti cittadini italiani – sono 150 persone raggruppate in 45 nuclei familiari. Nel campo dove si trovano ora ci sono 4 servizi igienici e 8 docce; non c’è elettricità per le diverse “abitazioni”. Per la doccia ci sono circa 100 litri di acqua calda per volta; quando finisce, bisogna aspettare due ore per riaverla.
Nel giugno 2008 una manifestazione capeggiata dalla Lega ha cercato di bloccare costruzione del “villaggio”. Come sia andata a finire, non so.

Un esempio di campo nomadi di Milano “moderno”, “ristrutturato”, definito, pare, dal sindaco Moratti, un fiore all’occhiello del Comune di Milano, dopo la cacciata di molti rom irregolari, è quello di via Barzaghi-Triboniano: 53 famiglie, container e 8 bagni chimici. Ne ha parlato nel convegno di Nonantola Tommaso Vitale, sociologo, ricercatore di Milano Bicocca: le roulottes messe lì sono della Protezione Civile e vengono dal terremoto dell’Irpinia (1980). Pare, secondo altre voci che ho raccolto, che tra le regole imposte dal comune per chi ci abita ci siano queste: - divieto di ricevere visite da parenti e amici; - divieto di festeggiare matrimoni; - divieto di cantare e suonare; - un furto, per esempio in un supermercato, significa l’espulsione dal campo di tutta la famiglia del colpevole… Pare inoltre che la gran parte – il 75% dei circa 3 milioni di euro stanziati per il campo – sia stata destinata alle spese per l’ordine pubblico.
A Nonantola, è stato mostrato il filmato di una ruspa al lavoro: stava operando proprio in questo campo: presso una fila di container c’era una striscia d’ombra, uno avrebbe potuto sedersi lì, per terra, durante l’estate, ed essere protetto, starsene un poco al fresco. La ruspa sconvolgeva la terra della fascia d’ombra, in modo che nessuno potesse sostare lì. Ricordo a questo proposito Auschwitz (senza nessuna volontà di proporre un parallelo diretto in relazione ad altri aspetti…): quando vidi il lager, la cosa che mi fece in assoluto più impressione – forse perché altri orrori mi erano già noti – fu l’assoluta mancanza di una pur piccolissima zona d’ombra, di un pezzo di muro, di un cespuglio, in cui uno potesse fermarsi per dieci secondi a formare un pensiero. Dalla torretta in alto era tutto a vista, come una terra che non era più terra, svuotata completamente di ombra. Penso anche al carcere franchista di Carabanchel, a Madrid, che sta per essere distrutto: al centro c’è una cupola da cui partono diversi bracci, lunghi corridoi su cui danno le celle. È stato costruito così in modo da permettere alle guardie che si trovavano nella cupola di controllare con un colpo d’occhio tutti i corridoi. Ogni luogo che non abbia rifugio allo sguardo di controllori fa spavento.

Una terza storia riguarda la realizzazione di un campo nomadi a Opera, presso Milano, dove avrebbero dovuto trovare alloggio 77 persone, tra cui 37 bambini, sgomberati da un insediamento irregolare in via Ripamonti.
Presso la tendopoli di Opera, autorizzata, un presidio di cittadini ha protestato per settimane; hanno installato anche un bar abusivo, che, dietro ingiunzione della polizia, è stato poi spostato di qualche metro, ma non smantellato. Poi sono andate a fuoco le tende, ci sono state aggressioni contro abitanti del campo e persone che li aiutavano, è stato distribuito via posta, per spaventare ulteriormente i gagé benpensanti, un falso comunicato del Comune di Opera che imponeva “a ogni possessore di villa/villetta di mettere a disposizione il giardino per ospitare roulottes, camper, container e tensostrutture”. Infine gli abitanti della tendopoli hanno scritto una lettera spiegando la loro disperazione e sono fuggiti, disperdendosi non si sa dove.
Ciò che fa più impressione, del racconto di questi fatti portato al seminario di Villa Emma, è stata la reazione di alcuni partecipanti al presidio contro i rom dopo che questo si è sciolto: rimpiangevano la lotta contro queste povere persone, il sodalizio con gli altri membri della protesta: pareva che, coalizzandosi contro i 77 abitanti della tendopoli, avessero avuto per un po’ di tempo l’impressione di superare l’abissale solitudine in cui vivono nel nostro mondo opulento e blindato.

Qualche alternativa ai campi nomadi in Italia

In Abruzzo e in Molise, anziché campi nomadi, ci sono case per rom e sinti (italiani soprattutto, ma anche slavi e kosovari) che dagli anni 70 vivono in abitazioni vere e proprie: per lo più edilizia popolare, ma anche appartamenti con affitto calmierato o ruderi ristrutturati. Il “modello” è stato imitato anche in qualche altra situazione, per esempio nel comune di Pisa.

Yuri dal Bar, il primo sinto italiano eletto nel consiglio comunale di un comune capoluogo di provincia in sessant'anni di repubblica italiana, invece, ritiene che una soluzione potrebbe stare nella generalizzazione delle microaree concesse dagli enti locali o di acquistate dagli abitanti stessi, estensioni di terreno dai mille ai tremila metri quadrati, in cui si possano mettere roulottes o altre struttura abitative. Egli stesso vive ora in un terreno che ha comprato e ora abita con la famiglia allargata. La microarea “deve essere un posto per 4 o 5 roulottes, una costruzione per i bagni o dei prefabbricati di legno al posto della roulotte - non di cemento che ammazza la gente” dice Radames Gabrielli, un sinti membro dell’associazione Sucar Drom di Mantova. Sulla questione delle microaree e anche sulla prospettive del villaggio per i sinti a Mestre, la discussione tra diverse associazioni, comunità, singoli esponenti, è molto accesa.
Nazzareno Guarnieri, rom di 54 anni, di Città S. Angelo (PE), che è stato candidato per le elezioni comunali del 2008, ritiene, come d’altra parte Alexian Santino Spinelli, che l’obiettivo da perseguire sia la casa: nessuna concessione, quindi, a sistemazioni provvisorie o definitive in campi nomadi o comunque a strutture che siano discriminatorie. Altri, invece, che pur desiderano avere una sede stabile, dichiarano che avrebbero difficoltà a vivere in appartamenti.

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SINTI, ROM, GITANOS, ROMÁ IN SPAGNA E IN ITALIA: IL LAVORO

Le attività dei gitanos di più antico insediamento in Spagna

È ancora J.F. Gamella a fornirci dati sul lavoro dei gitanos e dei romá di recente immigrazione in Spagna. Qualche accenno c’era già nei precedenti articoli, ma ora riporterò informazioni più specifiche.

Do la parola al prof. Gamella: “Le loro occupazioni tipiche furono un fattore-chiave per il mantenimento di limiti etnici con i non gitanos. Le occupazioni tradizionali dei gitanos… si sono in genere caratterizzate per la loro flessibilità, indipendenza e mobilità, con una dominanza del lavoro autonomo... I gitanos sono stati esperti artigiani metallurgici (fabbri e orafi), muratori, musicisti che suonano soprattutto strumenti a corda, cantanti e ballerini, chiromanti, indovini del futuro tramite le carte, guaritori e sciamani, mendichi, commercianti di cavalli, di bovini e di ovini, raccoglitori di ferraglia, macellai, venditori di piccoli oggetti, venditori ambulanti, aiutanti nei lavori agricoli, ecc.. In alcune regioni, come l’Andalusia, senza dubbio, sono stati anche agricoltori e operai in fattorie e officine….
Oggi i gitanos continuano a preferire lavori indipendenti o autonomi a quelli fissi, salariati; continuano a preferire lavori sulle cui condizioni e orario possano esercitare proprie scelte. … Però oggi tale preferenza non è più unanime: ci sono molti gitanos che lavorano per un salario, distinguendosi poco nel loro rendimento e nelle loro ambizioni dai colleghi payos; e molti altri che desidererebbero farlo, ma non riescono. Sono anche numerose oggi le famiglie gitanas che sopravvivono in tutto o in parte con quel che ricevono dagli aiuti, sussidi pubblici e pensioni.
Il commercio e la vendita di piccoli oggetti continuano a essere occupazioni molto valorizzate dai gitanos, e tali attività comprendono diversi prodotti e varie forme di organizzazione. In rapporto alla loro relazione con le regole delle amministrazioni pubbliche, tali attività possono avere un carattere “formale”, “informale” o “illegale”; e quanto alla loro collocazione spazio-temporale, fisse o ambulanti… Il commercio necessita di investimenti di denaro (per la merce, il mezzo di trasporto, la licenza, le tende di copertura dei banchi di vendita...), di personale di esperienza; però in genere garantisce un più alto livello di vita....
Il lavoro come giornalieri in campagna continua a essere oggi un’occupazione cruciale per molti gitanos, soprattutto in Andalusia e in Estremadura, affiancato da aiuti pubblici e da altre forme di reddito, attraverso molte modalità di organizzazione. Si tratta di un lavoro non stabile, temporaneo, che si applica a diverse necessità agricole, e spesso implica migrazioni stagionali a province e anche a regioni diverse, dove possono risultare fondamentali i vincoli di parentela. I gitanos lavorano anche in altre occupazioni precarie in altri settori, soprattutto nel ristoro (bar, alberghi ecc.). Perciò molti gitanos andalusi emigrano stagionalmente in diverse zone turístiche e industriali della costa mediterranea: nelle Baleari (Maiorca e Ibiza, soprattutto), Catalogna (Barcellona, Costa Brava…), Valenzia y Murcia.
Un’occupazione dalle tremende conseguenze per questa minoranza è stala la partecipazione di alcune famiglie gitane nella distribuzione di droghe illegali, hascisc in principio, e poi eroina e cocaina. Nonostante solo una piccola parte di gitanos e gitanas abbia partecipato a questo commercio illegale, i suoi effetti hanno avuto un enorme impatto sulla vita di molte comunità, soprattutto delle più povere, come anche nella penetrazione tra i giovani gitanos di forme di tossicomanie prima sconosciute, come la dipendenza da eroina, con le sue conseguenze abituali di degradazione personale.”
Gamella aggiunge che tra il 2000 e il 2003, fra le agenzie che si sono interessate specificamente dell’occupazione dei gitanos, è stata particolarmente importante l’organizzazione ACCEDER, sviluppata dalla Fundación Secretariado General Gitano in 13 Comunità Autonome, che ha indirizzato al lavoro 6.254 persone gitanas con un’età media di 27 anni e delle quali il 45% erano donne. “Gli uomini si sono impiegati soprattutto in lavori legati all’edilizia, così come a quelli di magazziniero, di operaio industriale, postino, trasportatore di piante e fiori, vigilante, uomo di pulizie, bracciante agricolo giornaliero… e le donne come donna di pulizie, cuoca o aiutante di cucina, educatrice, domestica, commessa, cameriera nel ristoro, cassiera o addetta a disporre i prodotti negli scaffali dei supermercati ecc.”( J.F.Gamella, Exclusión social y diferencia étnica: el caso de los gitanos, cit.)
Quanto al commercio illegale della droga, Gamella, in riferimento alla situazione in Andalusia, dice che “Nell’ultimo periodo, dal 1995, il problema della droga ha cambiado natura e orientamento. Poco a poco gli eroinomani ‘in attivo’ si sono andati trasformando in un settore della popolazione sempre più emarginato, invecchiato e deteriorato. D’altra parte, la caduta dei prezzi dell’eroina ha reso più facile il rifornimento di questa sostanza per i tossicodipendenti,… e ciò ha allentato la pressione che esercitavano i delitti contro la proprietà, soprattutto quelli particolarmente allarmanti che includevano atti di violenza. (Gamella, Exclusión social y conflicto étnico  en Andalucía, cit.)
Infine è importante rilevare che molti gitanos “hanno impieghi ben retribuiti e stabili… ci sono uomini e donne gitanas che sono medici, architetti, maestri, psicologi, avvocati, impresari, stimati nel loro ambito professionale. Purtroppo sono una minoranza, ma bastano a sfatare categóricamente gli stereotipi sui gitani e la loro supposta incapacità di formarsi e di dare un contributo significativo alla società comune. Ci sono ancora diversi gitanos e gitanas che esercitano professioni tradizionali: quelle di fabbri, di antiquari, di panettieri e macellai, e certamente quella di cantanti, di ballerini e ballerine, di chitarristi e musicisti che suonano strumenti a corde (sembra che non ci siano donne gitane che suonino pubblicamente la chitarra), ecc.” (Exclusion social y diferencia étnica: el caso de los gitanos, cit.)

Le attività dei romá di recente immigrazione

Gamella sostiene che i gruppi romá di recente immigrazione svolgono soprattutto nell’agricoltura e nell’edilizia le stesse attività proprie di molti gitanos di più antico insediamento. E continua così: “Peraltro, un ampio settore di questi gruppi sviluppa un insieme di strategie combinate con le quali sfruttano possibilità occupazionali che alla maggioranza degli spagnoli e degli altri rumeni sembrerebbero inadeguate, insostenibili o impraticabili. Queste strategie si basano nella combinazione di diverse fonti di reddito e nell’occupazione di nicchie marginali dove queste persone adempiono a funzioni informali e irregolari, che però permettono loro di ottenere guadagni in soldi e anche in altri beni. Per esempio, la mendicità, il parcheggio delle macchine, il lavaggio dei parabrezza ai semafori.” A questa attività Gamella aggiunge la vendita di “stampa sociale” (per esempio il giornale La Farola), e il riciclaggio di vari materiali di scarto.
Precisa quindi: “Alcuni membri delle famiglie più povere hanno anche fonti illegali di reddito, che derivano, per esempio, da piccoli furti, però non sono, in genere, molto importanti, nonostante la loro rilevanza mediatica. Ricordiamo a questo proposito lo scandalo che hanno suscitato alcuni gruppi di bambini che rubavano, approfittando dell’altrui distrazione, in negozi e a passanti: vicende di questo tipo sono state denunciate in Madrid, in Barcellona e in altre città, e in alcuni casi si è giunti a denunciare i genitori come istigatori dei reati (El País, 28 marzo 2006; J. García, El País, Cataluña, 15/5/2006).” Un altro caso di questo tipo, aggiungo io, è stato denunciato qualche settimana fa a Barcellona. “Però - precisa Gamella - non si può considerare questa, sotto alcun riguardo, una pratica generalizzabile a tutti o alla maggioranza dei ‘gitanos rumanos’. (Juan F. Gamella, La inmigración ignorada: Romá / gitanos de Europa oriental en España, 1991-2006, cit.). Nel saggio c’è un’interessante e attenta analisi di ciascuna delle attività su elencate, con valutazioni di massima dei redditi che possono procurare: per ragioni di spazio non riesco a riportare questi importanti dati nel mio scritto.
Infine, nello stesso saggio, l’antropologo spagnolo ci dice che “i romá rumeni a che abbiamo conosciuto hanno avuto pochi contatti con le droghe illegali e respingono profondamente il loro uso… finora completamente estraneo ai loro modi di vita e alla loro tradizione”.

Le attività dei sinti e rom in Italia

Alexian Santino Spinelli, nel libro già citato, annovera fra le attività dei sinti e rom tutte quelle menzionate per la Spagna da Gamella; in più le professioni di acrobati, giocolieri, saltimbanchi, giostrai, circensi, baracconisti, di cui lo studioso spagnolo nei saggi citati non parla.
Il quadro e il confronto fra la situazione lavorativa di questa minoranza in Spagna e in Italia cambia radicalmente quando si prendono in considerazione gli ultimi decenni, quelli, appunto, in cui in Italia e in Spagna sono stati paesi democratici.
Spinelli precisa che soprattutto nell’Italia meridionale si è avuto un inserimento professionale assai vario di un certo numero di rom e che “nelle situazioni di estremo degrado sociale e culturale e nelle situazioni di difficoltà economica fioriscono le attività illegali.” (A.S. Spinelli, Baro Romano Drom, cit., pag. 127).
In realtà, dalle riunioni e il convegno cui ho partecipato, da molte trasmissioni, articoli, testimonianze di persone che fra loro non si conoscono, è emerso un dato preoccupante: è estremamente difficile per un sinto o un rom italiano mantenere l’occupazione, soprattutto ai livelli più bassi – persino nell’ambito dell’edilizia, che è uno dei settori in cui spesso si assumono lavoratori poco qualificati -, se i datori di lavoro vengono a sapere che quelli che hanno assunto sono “zingari”. Rivelare “chi si è” è inevitabile, soprattutto in caso di lavoro regolare, per chi ha la residenza in un campo nomadi. Quando nei mesi scorsi, in seguito agli incendi appiccati a campi nomadi da gagé inferociti e a tutto quello che ha accompagnato questi eventi, dei giornalisti di televisioni hanno cercato di scovare persone dei campi nomadi che avevano un lavoro esterno, queste si sono rifiutate di farsi riprendere per paura di essere riconosciute e cacciate. Naturalmente ci sono eccezioni: datori di lavoro che la pensano diversamente dalla maggioranza e hanno rapporti di stima e persino di amicizia con il lavoratore rom o sinti. Ma pare che la “regola” sia quella dell’esclusione. Sarebbe interessante avere dati più ampi in proposito, per esempio offrendo a chi incorra in simili situazioni un punto di riferimento a cui raccontare e denunciare la storia della discriminazione subita.

In un bel libro – Fuori luogo. Cronaca da un campo rom, Bollati Boringhieri, Torino 1999 – Marco Revelli racconta l’esperienza che ha vissuto per alcuni mesi tra il 1998 e il 1999 a diretto contatto con un gruppo di 400 rom provenienti dalla Romania, in seguito a un pogrom nel corso del quale erano state bruciate le loro case. Si erano accampati ai margini della città di Torino e infine, dopo varie vicende, sono stati costretti ad andarsene. Nel corso di un’intervista che si può trovare in internet, Revelli afferma: “Molte delle attività economiche che fanno parte del codice etico di questa popolazione - per codice etico intendo quello che dà riconoscimento di status, che dà autostima - molti dei lavori legati al nomadismo hanno svolto un ruolo utile fino all’inizio del novecento. Le attività in cui nel loro nomadismo erano specializzati… le ha distrutte la produzione di massa standardizzata dei beni di consumo e l’industria dell’intrattenimento. È questo che ha distrutto la loro base artigiana mobile. In qualche modo però, voglio dire, queste doti potrebbero essere rimesse in circolazione con una politica attenta a conservarne la specificità. So di esempi in cui un ospedale ha affidato la gestione degli strumenti chirurgici a cooperative di rom che sanno trattare perfettamente il metallo; potrebbero essere costruiti mercati delle produzioni artigianali misurate sulla loro capacità di lavoro manuale… ci vorrebbe un po’ di fantasia. Sono degli straordinari riciclatori, prendono qualsiasi nostro rifiuto e lo trasformano in un oggetto utile. Se la nostra civiltà dovesse naufragare sarebbero loro a sopravvivere, non noi… Devo aggiungere che hanno anche delle straordinarie doti di mediazione del conflitto al loro interno: dovendo convivere in spazi ristretti hanno imparato a gestire i conflitti in modo non distruttivo. Potrebbero insegnarci a non accoltellarci. Per esempio il conflitto di vicinato viene risolto con lo spostamento.
E l’altra cosa di cui bisogna tenere conto ogni volta che si progetta con loro è il peso enorme dell’informalità: sono dei professionisti dell’informalità. Sanno mettere a valore l’informalità, le reti informali, la comunicazione informale, la conoscenza informale del territorio. Hanno una rete di comunicazione che internet non è nulla. Insomma sono in grado di fare arrivare un messaggio alla periferia di Bucarest o a Londra o a mettere in comunicazione tre fratelli che sono sparsi per il modo in tre secondi”.

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SINTI, ROM, GITANOS, ROMÁ IN SPAGNA E IN ITALIA: LA SCUOLA

La scolarizzazione dei bambini gitanos delle famiglie di più antico insediamento in Spagna

Come si sa, una delle accuse rivolte agli “zingari” è quella di impedire che i bambini vadano a scuola. Vediamo ora alcuni dati su ciò che succede in Spagna a questo riguardo e poi, al solito, su ciò che succede in Italia.
Gamella, pur riconoscendo le difficoltà, soprattutto iniziali, di alfabetizzare i bambini gitani, e l’analfabetismo di una buona parte di adulti, mette in evidenza che la scolarizzazione “è, senza dubbio, un aspetto dell’inserimento sociale della minoranza gitana nel quale si sono realizzati importante sforzi nelle ultime decadi, affidando un particolare compito a quei gruppi di professori e di altre figure professionali della formazione che lavorano con gitanos, soprattutto nell’elaborazione di materiali specifici per l’appoggio, il recupero e l’educazione interculturale, per i programmi di insegnamento compensativo, per i programmi di educazione al rispetto dei valori, ecc.. Uno dei grandi cambiamenti dell’era democratica è la quasi totale scolarizzazione dell’infanzia gitana, un processo che, dopo aver superato numerosi ostacoli, si è sviluppato di colpo in poco più di dieci anni.” Aggiunge Gamella, facendo riferimento agli studi di Fernández Enguita, nel rapporto fra bambini gitanos e scuola ci sono state tre fasi: una molto lunga di esclusione dal sistema educativo; la seconda, a partire dalla fine degli anni ’70, in cui ha dominato una forma di “scolarizzazione segregata”, con le cosiddette “scuole ponte” (quelle che intendono introdurre i nostri governanti in Italia ora!), che pretendevano di “formare il bambino gitano fino a che raggiungesse un livello di conoscenze sufficiente che gli permettesse di integrarsi nelle scuole normali in condizioni pari a quelle degli altri alunni.” Queste scuole furono potenziate nel 1978, mediante un Convegno congiunto dell’ Apostolado Gitano e del Ministerio de Educación. Ma, precisa l’antropologo, “La vaghezza di tali obiettivi e la difficoltà di proporre parametri precisi dice molto sullo spirito di questo sforzo: non si pensava allora che i bambini e le bambine gitanas fossero in condizioni di frequentare le scuole ordinarie, e neppure ci si preoccupava davvero di definire le capacità necessarie perché potessero integrarsi nell’attività e nei programmi della scuola per tutti.”
E aggiunge: “Nella metà degli anni ’80 si accelera l’ingresso nella scuola ordinaria dei bambini gitanos e in 15 anni si giunge alla scolarizzazione quasi piena, e per di più nell’età corrispondente alla classe frequentata. Così, come rivela un recente studio realizzato nelle scuole di tutta la Spagna, nell’anno scolastico 2000-2001, ‘il 94% degli alunni gitanos ha iniziato la sua scolarizzazione a sei anni o prima … è un progresso notevolissimo… l’inizio della scolarizzazione nel livello elementare all’età corrispondente…’. È anche crescente l’ingresso dei bambini e bambine gitane nei centri di educazione infantile [nota mia: le nostre scuole materne], frequentate … dal 74% dei piccoli gitani di meno di 6 anni .
Il processo non è stato esente da movimenti contrari da parte di settori della popolazione maggioritaria…”.
Sulla frequenza della scuola superiore, dice Gamella: “Nonostante che la metà dei bambini gitani abbia acquisito un alto indice di ‘normalizzazione’, nella scolarizzazione, continua a essere piccola la percentuale che continua nella scuola superiore o che mantiene modelli di studio e di formazione acquisiti negli anni della scuola primaria… resta ancora un tratto di strada importante da percorrere: riguarda l’assistenza quotidiana, lo studio quotidiano, il raggiungimento pieno del successo scolastico, il potenziamento delle capacità di apprendimento, la permanenza a scuola che si prolunghi sino alla fine dell’obbligo [in Spagna l’obbligo si conclude a 16 anni], il rapporto con i compagni, la soddisfazione delle aspettative dei genitori ecc.” (Gamella, Exclusión social y diferencia étnica: el caso de los gitanos, cit. )

La scolarizzazione dei bambini delle famiglie romanès di recente immigrazione in Spagna

Particolarmente complesso è oggi, naturalmente, il problema della scolarizzazione dei bambini romanès arrivati con l’ultima migrazione. La legge prescrive in Spagna l’obbligo scolastico da 6 a 16 anni e i genitori, in caso di evasione scolastica dei figli, possono essere denunciati, puniti e anche privati della patria podestà sui minori. “Questa possibilità - dice Gamella – ovviamente è vista con terrore dai romá. La scolarizzazione obbligatoria dei bambini e delle bambine minori di 16 anni è diventata un elemento centrale nella relazione delle famiglie romanès con lo stato sociale spagnolo...” Lo studioso, in anni recenti ha seguito la vicenda scolastica di più di 50 ragazzi romá. La scuola è considerata un’occasione di miglioramento importante per i figli, soprattutto maschi, da parte dei genitori. In pratica, però, hanno difficoltà a garantire la frequenza constante e lo studio a casa da parte dei ragazzi: la scuola diventa in molti casi un ostacolo ad attività che consentono di ottenere qualche risorsa in più per la sopravvivenza quotidiana. Per questi nuovi immigrati si riproducono le difficoltà che si erano incontrate anni prima con i gitanos ormai da tempo cittadini spagnoli nella scolarizzazione dei bambini. Talvolta ci sono attriti fra le famiglie romá e i servizi sociali, soprattutto sulla questione della scolarizzazione delle ragazze, che nelle famiglie con tanti bambini assolvono compiti di assistenza e di aiuto importanti (Gamella, La inmigración ignorada: Romá / gitanos de Europa oriental en España, 1991-2006, cit.)

Informazioni frammentarie sulla scolarizzazione dei bambini sinti e rom in Italia

Dati pur parziali, ma che riguardino una parte significativa di bambini e ragazzi sinti e rom italiani mi pare che non ce ne siano, o forse non li conosco io. Nel seminario di Nonantola tutti o quasi tutti i sinti e rom intervenuti nel dibattito hanno dato molto valore alla scuola per i bambini e i ragazzi del proprio popolo.
Eva Rizzin, sinta per parte di madre, ha raccontato che quest’ultima la spronava continuamente a studiare, perché potesse emanciparsi dall’estrema povertà, ma anche dare voce al suo popolo. Eva, come spiega lei stessa, ha scritto una tesi di laurea sulla cultura della sua comunità, e ha fatto il dottorato in geopolitica sul fenomeno dell’Antiziganismo nell’Europa Allargata. Dice in un’intervista: “Mia madre è sinta e ha vissuto per tanti anni in condizioni di notevole povertà ed esclusione sociale. Quand’ero piccola insisteva molto perché io andassi a scuola, e mi diceva sempre: ‘Non dovrai mai vergognarti di essere sinta, ma dovrai studiare, perché così potrai spiegare meglio agli altri chi siamo’”.
E in un’altra intervista sui bambini sinti e rom, spiega che “ l'accesso alla scuola - per noi fondamentale per migliorare le condizioni di chi oggi vive nei campi - non è così facile quando parti da una situazione di degrado. E poi spesso agli insegnanti basta togliere i bambini dalla strada, contenerli, e non hanno strumenti culturali per insegnare loro niente, così alla fine vengono solo umiliati e i genitori finiscono per non mandarceli più….. In Europa, ma anche Toscana, con il progetto ‘città sottili’ e la proposta di legge sulle decisioni partecipate, che stabilisce percorsi di confronto e partecipazione delle popolazioni locali, ci sono esempi di buona prassi. Certo se si vuole mandare a scuola i bambini rom non si può cominciare con il prendergli le impronte.”
Tutti i rappresentanti sinti e rom presenti a Nonantola hanno dichiarato che la scuola ha molta importanza per loro portando l’esempio di quanto, nonostante tutto, succede ancora in Romania: sono 25.000 gli studenti universitari rom. I vecchi non volevano che i ragazzi andassero a scuola dopo i 15 anni, ma per le nuove generazioni di padri e figli le cose sono molto cambiate.

Maria Bacchi, che lavora alla Fondazione di Villa Emma ed è direttrice dell’Istituto mantovano di storia contemporanea, ha condotto una ricerca, intervistando i bambini sinti di una scuola elementare, nel campo nomadi di via Learco Guerra di Mantova. Emerge da queste interviste la fatica che il bambino prova nel nascondere ai compagni di essere sinto e di vivere in una roulotte, di sostenere il loro disprezzo quando lo scoprono, la difficoltà di difendersi quando sparisce un oggetto in classe e i compagni lo accusano, a volte apertamente, di essere il colpevole del “furto”, il tentativo di distinguersi, in quanto stanziali, maggiormente accuditi dalla famiglia, dai ragazzi rom, su cui talvolta proiettano stereotipi assorbiti dalla televisione; il trauma di aver vissuto di notte l’esperienza di irruzioni della polizia con cani ed elicotteri. E la totale disinformazione degli insegnanti su questa minoranza, cosa che impedisce in partenza un vero confronto di modi di vita, di culture e valori, di pregi e difetti con i bambini della maggioranza.

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CENNI SU CULTURE DEI SINTI E ROM IN SPAGNA E IN ITALIA

I rischi di invasioni di campo

Sulle culture di questa minoranza si trovano molti materiali, anche in internet, proposti da membri di queste comunità. Poiché credo che sia facile, parlando di tale argomento, compiere indebite invasioni di campo, accennerò rapidamente solo a quattro argomenti: 1- l’associazionismo; 2- l’importanza del matrimonio e della struttura familiare; 3- la tradizione musicale spagnola e in specifico il flamenco; 4- il mancato riconoscimento in Italia dei sinti e rom come minoranza linguistica.

L’associazionismo gitano, laico e religioso, in Spagna e in Italia

Gamella, come si è già accennato in passi dei capitoli precedente, annette molta importanza nel miglioramento relativo delle condizioni di vita del gitanos e nella diminuzione dell’ostilità dei payos ai contributi e anche alle rivendicazioni e mobilitazioni dell’associazionismo gitano fiorito in tempi di democrazia. “Ci sono associazioni estese in tutte le regioni spagnole… offrono mezzi per la partecipazione di gitanos e gitanas alla vita pubblica e per la difesa dei loro interessi. La maggioranza di tali associazioni si raggruppano en federazioni, come la FARA (Federación de Asociaciones Romaníes de Andalucía) o la Unión Romaní…. Queste federazioni hanno avuto un ruolo di crescente importanza nei più gravi conflitti etnici verificatisi in Spagna nelle ultime decadi, come quelli di Martos (1986), Mancha Real (1991), Loja (1992), Almoradí (año 2000), ecc.
Nel nuovo secolo, alcune di queste associazioni hanno perso il loro impeto, sono state coinvolte in conflitti e scandali, cose che hanno determinato un arretramento del processo associativo dei gitani. Nel vuoto che si è prodotto, si sono sviluppate con grande forza associazioni legate all’evangelismo, e ha guadagnato terreno il Secretariado para la Comunidad Gitana, di ispirazione cattolica, almeno all’origine…
Crediamo che il bilancio dell’associazionismo gitano sia positivo... Come aspetti negativi… è necessario citare le tentazioni del nepotismo in una minoranza per la quale i vincoli e i doveri primari continuano a essere quelli verso la propria famiglia…
Uno dei cambiamenti più importanti e vistosi sperimentati dai gitani spagnoli viene dal successo che stanno riscuotendo nelle loro comunità le nuove pratiche religiose associate a certe chiese cristiane protestanti, soprattutto alla Chiesa Evangelica di Filadelfia nella sua versione Pentecostale, conosciuta popolarmente come "Il Culto"…., una congregazione religiosa di e per gitanos, adattata alle loro necessità e sensibilità…. L’impatto sociale del pentecostalismo è considerevole. Il culto può essere un importante elemento de rinnovamento e di trasformazione culturale. Per esempio, per la prima volta è sorto nell’ambito della stessa comunità gitana un potente incentivo per l’apprendimento della lettura finalizzato alla comprensione de "La Parola". [Questa chiesa “gitana”] può, certo, convertirsi anche in un nuovo elemento di segregazione, questa volta religiosa, visto che si tratta di una comunità religiosa con chiari limiti etnici, pur se non esclude la partecipazione dei payos.”

Anche in Italia c’è una realtà associativa, che immagino, tuttavia, per quanto viva e in fase di crescita, attualmente più fragile di quella spagnola: fra le associazioni più conosciute vi è l’Opera nomadi, la più antica, l’ Associazione Nazionale "Thèm romanó", che ha finalità essenzialmente culturali, la Federazione "Rom Sinti Insieme": come ho già accennato, si sono accese alcune polemiche fra membri della diverse associazioni. Probabilmente mi sfuggono sull’associazionismo in ambito italiano molti dati e informazioni. Non so, per esempio, se Il Culto abbia avuto una diffusione anche fra i sinti e i rom del nostro paese.

Matrimonio e famiglia, flamenco, disconoscimento dei sinti e rom come minoranza linguistica

Rispetto al secondo punto, lo studioso italiano – Alexian Santino Spinelli - e quello spagnolo sono concordi: evidenziano come il matrimonio, spesso precoce (almeno dal punto di vista dei gagé) sia centrale nella vita delle comunità sinti e rom. La morale sessuale, soprattutto per la ragazza, che peraltro si sposa quando è molto giovane, è restrittiva, la preservazione della verginità fino al matrimonio è un obbligo condiviso. Il matrimonio è visto come un elemento positivo, quasi necessario, nella vita delle persone, e così pure la procreazione. Gamella mette in evidenza come permanga tuttora il matrimonio endogamico, l’uso di sposarsi fra cugini germani. I figli sono numerosi, anche se in Spagna forse ha avuto inizio un certo controllo delle nascite. La famiglia è spesso allargata, ma per lo più in ciascun nucleo abitativo, in Spagna e, quando è possibile, anche in Italia, vive la famiglia nucleare, eventualmente con genitori anziani della coppia. Spesso accanto al nucleo vivono altre famiglie, unite da un vincolo di parentela. La donna, in apparenza sottomessa, in realtà ha in mano gran parte delle decisioni e delle iniziative che riguardano la famiglia. Soprattutto Gamella insiste sul fatto che, pur in presenza di tradizioni e memorie che hanno molti punti in comune, c’è all’interno di queste comunità una molteplicità di modelli comportamentali, di modi di conservare le tradizioni, di risposte dinamiche e differenziate alle sollecitazioni del mondo maggioritario, che molti payos, prigionieri di stereotipi, non sospettano neppure.
(J.F.Gamella, Exclusion social y diferencia étnica: el caso de los gitanos,cit. e A.S. Spinelli, Baro Romano Drom, cit.)

Sul flamenco, in sintesi: si tratta di una tradizione musicale unica al mondo, diversa da quella dell’Est europeo. C’è in Spagna qualcuno che rivendica una natura per così dire “autoctona” a questa musica e a queste danze, retrocedendone l’origine a prima dell’arrivo dei gitanos e persino degli arabi. Ma la maggioranza degli studiosi concordano nel considerare questa musica come il frutto di contaminazioni fra la tradizione morisca e quella gitana, certamente senza escludere l’inglobamento di un precedente patrimonio musicale delle popolazioni della penisola iberica. Ci sono anche in internet studi ben fatti su quest’argomento.

Rispetto al punto 4, dice Eva Rizzin: “Nonostante il riconoscimento dei diritti delle comunità rom e sinte sia diventato un importantissimo tema europeo, sta di fatto che a livello nazionale la legge 482/99 sui diritti delle minoranze linguistiche presenti nel territorio italiano ha volutamente escluso il ròmanes dal dettato delle minoranze linguistiche.
I rom e i sinti sono stati esclusi dai vantaggi di tale legge, per il fatto di non essere legati a un territorio determinato. Una legge, la 482/99, che disattende norme, principi ed impegni internazionali, in particolare la carta europea delle lingue regionali minoritarie (in vigore dall’1 marzo 1998) che prevede esplicitamente norme (punto C) ‘anche per le lingue sprovviste di territorio come l'yiddish e il (ròmanes)’.
La decisione di escludere il romanes fra il dettato delle lingue minoritarie è stato un atto gravissimo e sottolinea palesemente la discriminazione di una popolazione che già in quel tempo era fortemente emarginata.”

Il lungo cammino degli stereotipi e una dichiarazione

Catone il Censore, considerato per lungo tempo dai “romani perbene” dell’antichità uno dei padri della patria, nato circa 2200 anni fa e vissuto molto a lungo, non aveva certamente un buon carattere, era un razzista o almeno uno xenofobo del suo tempo, e se la prendeva con quei suoi concittadini, nobili e ricchi romani, che davano confidenza a intellettuali greci, nel corso della progressiva sottomissione della Grecia a Roma. Dice Catone al figlio Marco:

“Di codesti Greci dirò a suo luogo, Marco mio, quel che ne ho capito ad Atene e come sia bene dare uno sguardo alla loro letteratura, ma non approfondirla. In­tendo provare che è razza maligna e intrattabile. E fa’ conto che questo l'abbia detto un vate: finché questa gente continuerà a diffondere la propria cultura corromperà tutto; e tanto più se continuerà a mandare qui da noi i propri medici. Han giurato tra loro di eliminare, con la loro medicina, tutti i barbari [quindi, secondo Catone, anche i romani]; ma lo fanno addirittura a pagamento, così ci si fiderà senz'altro di loro e senz'altro ci stermineranno…”

Ma è ancora più interessante il confronto che Catone, in un suo trattato sull’agricoltura, fa fra agricoltori possidenti terrieri e mercanti:

“Senz'altro è più conveniente talora l'attività commerciale, se non fosse però rischiosa…; quando [i nostri antenati] lodavano un buon cittadino, questa era la lode: buon contadino e buon agricoltore. Ed era, per chi la riceveva, una lode senza pari. … Fra i coltivatori della terra crescono uomini di forte tempra e soldati valorosissimi; i loro guadagni sono i più onesti, i più sicuri, i più meritati; coloro che praticano quell'attività sono in genere dei benpensanti.”

Nella nostra “identità” è dunque iscritta da tempi assai antichi l’idea che solo chi possiede terra e vi si dedica, o al massimo chi potrebbe possederla, se ne avesse i mezzi, è persona di cui ci si possa pienamente fidare. Quelli a cui o è stato a lungo precluso il possesso della terra o che non si sono curati di acquisirla perché nella vita facevano altro, sono stati spesso guardati con sospetto, talvolta perseguitati e persino, come sappiamo bene, sterminati. Il senso del possesso della terra e del territorio è qualcosa di molto profondo in noi gagé, e forse dovremmo un po’ diffidarne.

Con ques’auspicio riporto i passi di una dichiarazione di Emil Šćuka, eletto nel 2000 presidente l’International Romaní Union:

“Noi rom siamo i soli che rivendichiamo una rappresentan­za per la Nazione che siamo, mentre non rivendichiamo affatto, storicamente e ancor meno oggi, uno Stato. Né possiamo essere considerati una minoranza visto che sia­mo più numerosi delle popolazioni di svariati Stati euro­pei. E ancor meno lo saremmo nell'Europa che vedesse compiersi ormai l'antico sogno federalista. Siamo convinti che porre questa domanda, questa rivendicazione, sia nel­l'interesse diretto di tutti gli europei, che si sentano "minoritari" o "maggioritari". Una rivendicazione transnazio­nale e per nulla pericolosa. Non è infatti difficile rendersi conto che quel che ha provocato - e continua a provocare - disastri e massacri è precisamente la volontà di sovrap­porre il concetto di Nazione a quello di Stato e non la me­ra consapevolezza di essere parte di una Nazione, di una tradizione, di parlare una lingua comune, condividere ori­gini e tragedie comuni (come l'olocausto, dimenticato e del tutto celato e rimosso). L'olocausto ha ucciso quasi seicentomila nostri fratelli, ma nessuno lo ricorda. Gli infiniti massacri europei sono puntualmente derivati - nel passato come recentissimamente nei Balcani - dalla volontà di far coincidere nazionalità e cittadinanza, Stato e Nazione. Noi siamo una Nazione, ma non vogliamo uno Stato. Non vi è una pertinenza, un'attualità in questa storia e in questa vo­lontà, rispetto alle sfide dell'Europa e del mondo di oggi?
Oggi sia l'Europa che l'intero sistema dell'ONU si chiedono se le forme attuali del loro assetto istituzionale siano in grado di assicurare agli individui la legalità. Il limite delle istituzioni internazionali è che sono fondate su Stati invece che sul rule of law, lo Stato di diritto per gli individui. Per­ché escludere che la cittadinanza europea possa esistere in quanto tale ed essere attribuita direttamente a chi, come i rom cittadini di Paesi UE, si sente "solo europeo"? Per i rom d'Europa la sola cittadinanza davvero adeguata è quella europea. L'obiezione per cui questo potrebbe essere utilizzato da altri come pretesto per rivendicazioni separa­tiste e nazionaliste è rispettabile. Ma è incongrua per gente come noi, cui storicamente e attualmente non appartiene la volontà (peraltro ormai inattuale) di identificare popolo e territorio, Nazione e Stato. Non facciamo che ascoltare impegni a riformare e adeguare le istituzioni esistenti. Noi vogliamo vivere da europei, come gli altri e con gli altri; cittadini a prescindere dalla nazionalità, dalla religione che si professa, dalla lingua che si parla... Europei, cittadini europei di nazionalità rom... I rom intendono essere citta­dini europei. I rom vogliono aiutare le nuove forme del vivere associati, le nuove norme, le nuove istituzioni dell'Eu­ropa politica fondata sul diritto. Nuove, perché è nuova la società. Una Nazione transnazionale ha bisogno di uno Stato di diritto transnazionale. Siamo davvero i soli ad ave­re bisogno di questo? Riuscire a dare, insieme, una rispo­sta alla nostra "sfida", al nostro "sogno" è urgente per tutti (Pietrosanti 2000, p. 1)."
(in Alexian Santino Spinelli, op.cit., pagg. 79-80)

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BIBLIOGRAFIA, VIDEO E ARTICOLI IN GRAN PARTE REPERIBILI IN INTERNET

SAGGI DEL PROF. JUAN F. GAMELLA DISPONIBILI IN INTERNET

1-Exclusión social y conflicto étnico  en Andalucía. Análisis de un ciclo de movilización y acción colectiva antigitana (1976-2000) http://www.ugr.es/~pwlac/G18_M07JuanF_Gamella.html
2-Oficios gitanos tradicionales en Andalucía (1837- 1959)www.gitanos.org/upload/04/92/fondo.pdf
3-Los gitanos andaluces: presente y futuro de una minoría étnica http://66.102.9.104/search?q=cache:pyD6mli8Sr4J:elistas.egrupos.net/lista/andalucialibre/ficheros/6/verFichero/24/Los%2520gitanos%2520andaluces%2520-%2520%2520Juan%2520F.%2520Gamella.doc+GAMELLA+LOS+GITANOS+ANDALUCES&hl=es&ct=clnk&cd=1&gl=es&client=firefox-a
4-Exclusion social y diferencia étnica: el caso de los gitanos
Publicado enJose Felix Tezanos (Ed.)Tendencias en desigualdad y exclusión social, Madrid: Sistema, pp. 603-647
5-Juan F. Gamella y Patricia Sánchez-Muros- Los crímenes de Loja. Visiones payas y gitanas de un enfrentamiento étnico http://www.ugr.es/~pwlac/G12_06JuanF_Gamella-Patricia_Sanchez-Muros.html
6-Elisa Martin, Juan F. Gamella- Marriage practices and ethnic differentiation: The case of Spanish Gypsies (1870–2000)
7-Juan F Gamella et Elisa Martin Carrasco-Munoz - « Viens avec moi cousine » : le mariage entre cousins germains chez les gitans andalous
8-La inmigración ignorada: Romá / gitanos de Europa oriental en España, 1991-2006 http://www.ugr.es/~pwlac/G23_08JuanF_Gamella.html


RECENSIONI E INDICAZIONI SUI LIBRI CITATI

1-Alexian Santino Spinelli, Baro romano drom, Meltemi, 2008http://www.hoepli.it/libro.asp?ib=9788883534645&pc=000019003002000
2-Pino Petruzzelli, Non chiamarmi zingaro, ed. chiarelettere http://www.wuz.it/recensione-libro/2320/non-chiamarmi-zingaro-pino-petruzzelli-chiarelettere.html  http://www.wuz.it/recensione-libro/2320/non-chiamarmi-zingaro-pino-petruzzelli-chiarelettere.html
3-Otto Rosenberg - La lente focale, ed. Marsilio, 2000 http://www.radioparole.it/porrajmos/porrajmos.html  http://www.radioparole.it/porrajmos/porrajmos.html

INTERVISTE IN VIDEO O SCRITTE

1-Per conoscere Eva Rizzin e leggere una sua intervista, clicca su http://www.osservazione.org/chefare_rizzin.htm ;
per una seconda interessante intervista a Eva, clicca su http://sergiobontempelli.wordpress.com/2008/04/30/chi-sono-i-rom-e-i-sinti-in-italia-intervista-a-eva-rizzin/
2-Intervista di Nazzareno Guarnieri sui rapporti con l’“autorità” a Pescara http://coopofficina.splinder.com/post/18077260#more-18077260 http://coopofficina.splinder.com/post/18077260#more-18077260 )
3-Gad Lerner parla dei sinti e rom e del pregiudizio sull’attitudine degli “zingari” a rubare bambinihttp://sergiobontempelli.wordpress.com/2008/07/08/gad-lerner-sulle-impronte-ai-bambini-rom/
4-Per video sulle aggressioni a campi nomadi, belle intervista a Dijana Pavlovic, Alexian Santino Spinelli, Moni Ovadia e altri, clicca su http://www.focus.it/Mondo/video/Rom_bastardo_indagine_sul_nuovo_razzismo878624527_26273737.aspx
5-Per un video in cui Spinelli parla dei campi-nomadi ed espone la sua alternativa, anche in polemica con altri http://www.youtube.com/watch?v=R667GlX8HcE&feature=related.
6-Per leggere una lunga e interessantissima intervista a Marco Revelli, autore del libro Fuori luogo, clicca su1-http://multilab.wordpress.com/2008/02/10/incontro-con-marco-revelli/


ARTICOLI E DOCUMENTI

1-Sulla vicenda Bezzecchi e irruzione della polizia nel campo nomadi in cui vive, Claudia Fusani e Matteo Tonelli, in un articolo del 6 giugno 2008http://www.repubblica.it/2008/06/sezioni/cronaca/sicurezza-politica-7/censimento-campi-rom/censimento-campi-rom.html,
2-Per la storia della popolazione romaní in Italia, clicca suhttp://www.associazionethemromano.it/rominitalia/rominitalia.htm
3-Per la conoscenza generale dello sterminio dei sinti e rom, clicca su http://www.istitutoresistenza-ge.it/Documenti/rom_olocausto.html
4-Per avere informazioni sulla politica del fascismo nel confronti dei sinti e rom, clicca su Il fascismo e la persecuzione degli zingarihttp://www.deportati.it/TR1998/persecuzione_zingari.html
5-Per leggere tutto l’articolo de El País del 28 ottobre, a proposito del recente scontro tra gitanos e payos a Castellar, clicca su http://www.elpais.com/articulo/andalucia/gitanos/huyen/Castellar/incidentes/pelea/elpepuesp/20081028elpand_2/Tes
6-Per leggere su El País l’articolo in cui si dice che il Partido Polular ha chiesto la regolarizzazione di tutti i romeni presenti in Spagna, clicca su http://www.romaniadinspania.com/en/regularizacion-laboral-de-miles-de-rumanos http://www.romaniadinspania.com/en/regularizacion-laboral-de-miles-de-rumanos
7-Per leggere il documento dell’European Roma Right Center, che denuncia la violazione dei diritti della minoranza rom e sinti in Italia e porta moltissimi dati ed esempi, clicca suhttp://www.repubblica.it/2007/04/sezioni/cronaca/rom-sinti-chi-sono/rom-sinti-chi-sono/rom-sinti-chi-sono.html
8-Per leggere su Repubblica gli articoli, a mio parere discutibili, di Claudia Fusani su Sinti e Rom, clicca su http://www.repubblica.it/2007/04/sezioni/cronaca/rom-sinti-chi-sono/rom-sinti-chi-sono/rom-sinti-chi-sono.html
9-Per leggere l’agenzia Reuters del 23 ottobre 2008 sulle dichiarazioni del Ministro dell’Interno Maroni al termine del censimento nei campi nomadi di Roma, Milano e Napoli, clicca su http://it.reuters.com/article/topNews/idITMIE49L0O720081022
10-Per leggere il resoconto della vicenda di Mestre e delle proteste dei gagé contro il Comune di Venezia a proposito del nuovo villaggio per sinti e rom, clicca su http://sucardrom.blogspot.com/2008/06/venezia-i-sinti-di-cacciari-troppo.html
11-Per avere informazioni su articoli portatori di stereotipi e altro, clicca su http://www.operanomadimilano.org/opinione/opinione.htm
12-Per la cronologia del presidio contro i “nomadi” di Opera, e anche per leggere la lettera assai istruttiva dei rom http://aliseo.wordpress.com/2007/02/06/cronologia-opera/
13-Per qualche alternativa, in Italia, ai campi nomadi, clicca suhttp://beta.vita.it/news/view/82806/  e suhttp://yuridelbar.splinder.com/
14-Per avere informazioni sulle origini e lo sviluppo della musica flamenco, puoi cliccare suhttp://culturitalia.uibk.ac.at/hispanoteca/MusikSpanien/Flamenco/El%20cante%20flamenco.htm


ASSOCIAZIONI ITALIANE

1-1-www.associazionethemromano.it
2-http://www.operanomadimilano.org//:c’è anche in altre città, il cui nome è inglobato nei link
3-1-http://comitatoromsinti.blogspot.com/
4-http://web.tiscalinet.it/associazionethrom/IRU/organiiru.htm: questo sito porta l’elenco e gli indirizzi delle organizzazioni internazionali che difendono i diritti della minoranza sinti e rom
5-1-http://www.osservazione.org/
6-http://ww3.comune.fe.it/vocidalsilenzio/ http://ww3.comune.fe.it/vocidalsilenzio/ : è un sito molto ricco, in cui si indicano anche libri, poesie ecc.
7- http://www.el-ghibli.provincia.bologna.it/id_1-issue_05_20-section_1-index_pos_1-author_450.html: in questo sito puoi trovare indicazioni sulla letterature della migrazione, poesie (anche di Dijana Pavlovic) e racconti.
8-Per conoscere la storia e la cultura "romaní, clicca su "http://www.vurdon.it/intro.htm

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